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Roma 1928

DELLO STESSO AUTORE

Filosofia.

IL FONDAMENTO PSICOLOGICO DELLA RELIGIONE. Roma, Maglione e Strini, 1904.

IL, VALORE SuPREMO. Roma, Formiggini, 1913.

LE FILOSOFIE CHE NON VISSERO. In Rivista di Filosofia, I9II.

L.A FILOSOFIA DELLA FOLLA. In Rassegna Contemporanea, 1913.

IL DUALISMO RELIGIOSO E LA DOTTRINA DI ZARATHUSTRA. Roma, Gar- zoni e Provenzani, 1914.

IL,O SPIRITO FILOSOFICO DELLE GRANDI STIRPI UMANE. In Rivista di filo- sofia, 1921.

Politica. SCRITTI E DISCORSI DELLA GRANDE VIGILIA. Bologna, Zanichelli, 1924. IL DIRITTO DEI POPOLI ALLA TERRA. Milano, Alpes, 1926. LA REALTÀ E IL VALORE DELLA STIRPE IN BIOLOGIA E NELLA MORALE. In Libro e Moschetto. Roma, Libreria del Littorio, 1928.

Poesia. DIONYSOPLATON APoLocHI. Roma, Formiggini, 1912 (Esaurito). RITAGLI D'ACCIAIO ISTAR, DIONYSOPLATON. Firenze, Vallecchi, 1922. IL FUOCO SULLA MONTAGNA. (Dramma) in Rassegna Italiana, 1924.

Scritti Danteschi.

L’ALLEGORIA DI DANTE sEconDO G. PascoLI. Bologna, Zanichelli, 1922.

IL SEGRETO DELLA CROCE E DELL'AQUILA NELLA DIVINA COMMEDIA. Id. Id. 1922.

I,A CHIAVE DELLA DIVINA COMMEDIA. SINTESI DEL SIMBOLISMO DELLA Croce E DELL'AQuUIILA. Id. Id, 1920.

LECTURA DANTIS: Inferno, Canto IV, letto in Orsanmichele. (Firenze

Sansoni). » » Inferno, Canto VI, letto alla Casa di Dante di Roma. (Id. Id.). » » Paradiso, Canto IV, Lectura Dantis di Roma. Paravia. » » Paradiso, Canto XIX, Lectura Dantis di Roma. Id. Id. » » Paradiso, Canto XXXI, letto in Orsanmichele. Roma, Garzoni e Provenzani.

NOTE SUL SEGRETO DANTESCO DELLA CROCE DEI.L’AQUILA. Serie I (Gior- nale Dantesco XXVI, 4); Serie II (/4. Id. XXVII, 1); Serie III (Id. Id. XXXIII, 3); Serie IV, Discussione (Id. Id. XXIX, 4).

PER LA CROCE E L'AQUILA DI DANTE. In Rivista Internazionale di Filo-

sofia, Logos. 1924.

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LUIGI VALLI

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PROPRIETÀ LETTERARIA TUTTI I DIRITTI RISERVATI

ROMA, 1928 «L’UNIVERSALE » TIPOGRAFIA POLIGLOTTA.

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DEDICO QUESTO LIBRO ALLA GLORIOSA MEMORIA pi UGO FOSCOLO pi GABRIELE ROSSETTI pi GIOVANNI PASCOLI I TRE POETI D'ITALIA CHE INFRANSERO I PRIMI SUGGELLI

DELLA MISTERIOSA OPERA DI DANTE

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PREFAZIONE

Ho scritto in fronte al libro i nomi dei tre poeti nobilissimi che con le loro ri- velazioni aprirono la via a queste mie indagini sul pensiero di Dante.

La ho scritti non solo per esprimere la mia riverenza per la loro grande opera, ma anche per affermare che in questo libro si prosegue una tradizione di studi ormai più che centenaria, la quale ha avuto la sua continuità, la sua lenta matu- razione ed il suo logico sviluppo, quantunque una critica che si da pomposamente, der quanto arbitrariamente, il titolo di « positiva », usi l’artificio di raffigurare coloro che hanno seguito il nostro indirizzo come altrettanti fantasticatori isolati.

Nel 1825 Ugo Foscolo, ponendo col suo genio su nuove basi l’interpretazione di Dante, gettati da parte 1 vecchi commenti, affermava limpidamente lo stretto legame fra la Divina Commedia e la Monarchia : affermava che la Commedia è pervasa da un profondo spirito rinnovatore politico e religioso, che ha un se- greto contenuto mistico e profetico, che essa è una grande profezia esposta in un «sistema occulto ».

Nel 1847 Michelangelo Caetani duca di Sermoneta poneva un caposaldo di questo «sistema occulto », dimostrando che nella Divina Commedia Enea, come rappresentante dell'Impero, viene con ufficio di Messo Celeste ad infrangere le porte di Dite, le porte dell’ingiustizia. Il suo intervento significa che l’aiuto della virtù imperiale è necessario esso pure al cristiano per percorrere la via della salvezza.

Nel 1902 Giovanni Pascoli, dopo aver raccolto la caduta interpretazione del Caetani e dopo aver rivelato la significante costruzione segreta del mondo dantesco, intravedeva il rapporto misterioso, profondo ed ardito che lega nel Poema, che è il Poema della redenzione umana, la Croce con l'Aquila.

Nel 1922 t0, muovendo dalle scoperte del Pascoli, mettevo in luce più di trenta simmetrie della Croce e dell'Aquila, segreta ossatura simbolica di tutta la Comme- dia, e la dottrina originale che esse esprimono e che non è se non quel «sistema oc- culto » del quale Ugo Foscolo un secolo prima aveva intuito la presenza nel Poema.

Parallelamente a questo sviluppo di idee se ne svolgeva però anche un altro.

8 PREFAZIONE

Gabriele Rossetti nelle sue opere, scritte tra 1l 1820 e il 1847, poneva la test arditissima ed inaudita che tutta la poesia d'amore di Dante e dei suoi amici fosse costruita secondo un gergo convenzionale e che, sotto la finzione dell'amore per la donna, nascondesse le idee iniziatiche di una setta segreta che aveva speciali intenti politici e religiosi.

Come il Caetani dopo la prima intuizione del Foscolo aveva posto salda- mente un punto della interpretazione della Divina Commedia, così Francesco Perez nel 1865 fissava un punto della interpretazione della poesia d'amore, di- mostrando limpidamente che la Vita Nuova di Dante è racconto mistico e sim- bolico nel quale si parla, non della moglie di Simone de’ Bardi, ma della mistica « Sapienza », della donna stessa della quale si parla nella Sapienza di Salomone e nel Cantico dei Cantici.

Il Pascoli, pur facendo qualche lieve concessione all'idea di una Beatrice storica, accolse sostanzialmente la teoria del Perez.

Questo mio libro accoglie non solo la tesi del Perez, ma ad essa nicollega, dopo averle purificate dalle molte scorie, alcune mirabili verità intuite da Gabriele Rossetti e, sulla base di documenti ignoti all'uno e all’altro, ricostruisce con nuovo metodo e secondo nuove linee, il simbolismo iniziatico che animò di una profonda segreta e drammatica vita mistica la lirica di Dante e dei suoi com- pagni, che la nostra critica scambia ancora per poesia d'amore, perchè si fida ingenuamente di quel suo significato superficiale che era congegnato ad arte per «la «gente grossa ». |

Senza impegnare in tutto quello che i0 dico l'autorità dei grandi che mi hanno preceduto e aperta la via e senza impegnare menomamente me stesso nelle induzioni erronee dalle quali essi furono talvolta sviati, affermo con orgo- glio la derivazione diretta della mia indagine dalla loro indagine.

Ma nello scrivere in fronte a questo libro 1 nomi di Gabriele Rossetti e di Giovanni Pascoli 10 ho avuto anche un altro intendimento.

Tutti sanno che quella critica « positiva », alla quale ho accennato sopra, vituperò e derise, boicottò e diffamò l'opera dantesca di questi due grandi italiani senza compiere su di essa nessun esame serio ed onesto. Ed t0 scrivendo 1 loro nomi nella prima pagina di quest'opera, ho voluto esprimere nella maniera più limpida quale conto io faccia di questa critica e quanta cura mi dia di ottenere il suo consenso e la sua approvazione.

Vero è che oggi, mentre la nostra gioventù studiosa accoglie con commosso fer- vore le interpretazioni dantesche del Pascoli e quelle che da esse derivano, ed abbiamo ancora negli orecchi gli insulti e i disdegni con i quali quella critica le bersagliò per venti anni, non so se vi stano ancora molti studiosi disposti a prender sul serro questo genere di sentenze.

Ma con la stessa franchezza con la quale esprimo î miei sentimenti verso

PREFAZIONE 9

la così detta «critica posttiva », voglio e devo, in perfetta umiltà di spirito, rico- noscere avanti ai giovani ed ar lettori spregiudicati, per 1 quali 10 scrivo, le gravi deficenze di questa mia opera, nella quale solo una minima parte degli argomenti ho potuto raccogliere ; nella quale non mancano certo ipotesi secondarie da rive- dere, errori da ricorreggere e che vuole essere più che altro un richiamo gettato alla gioventù studiosa di libero animo, perchè con serenità, con obbiettività e con calma riconsideri alcune importantissime idee, che già balenarono confusamente all’animo commosso di alcuni nostri nobilissimi spiriti di veggenti e di poeti, idee che mostrano forse oggi la loro chiarezza e la loro profondità anche se al loro apparire furono disconosciute e derise dalla miopia boriosa della critica tradizionale, impigliata tra le piccolezze confuse della « lettera che uccide ».

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INDICE

INTRODUZIONE. LA STORIA DELL'IDEA . .....0.0.00 0

CAPITOLO I. GLI STRANI AMORI DEI « FEDELI D'AMORE » _. . ......

1. Le poesie dei «Fedeli d'Amore» scritte per un gruppo chiuso. 2. Poesie d'amore incomprensibili. 3. Poesie riconosciute come scritte in gergo oscuro. 4. L’« enigma forte » della poesia d'amore. 5. La poe- sia d’amore e il suo « verace intendimento ». 6. Gli oscuri rapporti per- sonali tra i poeti. 7. Carteggio informativo sotto veste di poesia d'amore. 8. Idee politiche e religiose affini tra i « Fedeli d'Amore ».

CAPITOLO II. LE STRANE DONNE DEI « FEDELI D'AMORE ». . . .....

1. Le donne inverosimili. 2. Le donne « sapientissime ». 3. Le due evidenti figure di donna-Sapienza. 4. L’'unicità della donna amata. 5. Le stranissime « donne » che accompagnano « Madonna ». 6. Le donne somiglianti a « Madonna ».

CAPITOLO III. lL’IPOTESI DEL GERGO NELLA POESIA D'AMORE E LA SUA VERO- SIMIGLIANZA. io 20 e e SL sole dea

1. Il vero significato dei motivi ricorrenti nella poesia d'amore. 2. La convergenza degli indizi verso l'ipotesi del gergo mistico. 3. Pensieri limpidi, pensieri oscuri, pensieri assurdi nella poesia d’amore.

CAPITOLO IV. LA « DONNA-SAPIENZA » PRIMA E FUORI DEI, « DOLCE STILI

1. La «Intelligenza attiva » e la sua figurazione in donna amata. 2. La mistica « Sapienza » pensata come donna nel neoplatonismo e nello gnosticismo. 3. La mistica «Sapienza » personificata in donna nella Bib- bia. 4. « Rachele-Sapienza » e l’amore di Giacobbe secondo $S. Agostino. 5. La morte di Rachele e il suo significato mistico.

CAPITOLO V. IL GERGO MISTICO-AMATORIO NELLA POESIA PRIMA E FUORI DEL { DOLCE STIL NOVO...

r. Il gergo amatorio nella poesia mistica della Persia. 2. L'influenza

del misticismo orientale sullo spirito dell'Occidente. 3. Il gergo segreto

del Fiore e l'ingresso di « Falsosembiante » nella corte di Amore. 4. Il

gergo nella poesia d'amore dai Provenzali ai Siciliani.

49

67

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12 INDICE

CAPITOLO VI. L'AMBIENTE E LO SPIRITO DEL « DOLCE STILI, NOVO » . . .

1. Modo e ragione del rinnovamento operato dal Guinizelli. 2. La concezione dantesca del « dolce stil novo ». 3. Il gergo erotico-filosofico del Convivio rivelato da Dante. 4. L'ambiente storico e religioso del « dolce stil novo » e la sua essenza mistica.

CAPITOLO VII. IL « DOLCE STII, NOVO » LA PAROLE DEL GERGO . . è .

I. Il significato segreto della parola « Amore ». 2. Il significato se- greto della parola « Madonna ». 3. Le parole «Morte»e «Vita» « Morte di Madonna » « Donne » « Dormire» «Folle» e «Follia» «Fiore» e «Rosa» «Fontana », « Fonte », « Fiume », «Rio» « Pian- gere » «Saluto » e «Salute » « Luogo di ritrovo » e « Corte d'Amore » « Gaiezza » e « Gaio » « Noia» e « Noioso » « Vento», « Gelo », « Freddo 3», « Freddura » « Gelosia» « Pietra », « Sasso », « Marmo » « Selvaggio » e «Villano» «Tuono » « Vergogna» e «Vergognarsi» « Natura » «Gravezza » « Donna somigliante a Madonna» «Verde» e « Ver-

dura ». 4. Le parole occasionali e le incerte. CAPITOLO VIII. IL « DOLCE STIL NOVO» SAGGIO DI POESIE TRADOTTE DAL GERGO. . ..... 1. La canzone Al coy gentil del Guinizellii 2. La canzone Donna mi

prega del Cavalcanti. 3. Altre poesie tradotte.

CAPITOLO IX. UN MANUALE SETTARIO : I « DOCUMENTI D'AMORE » DI F. DA BARBERINO; i du © SR a Me

1. Il carattere generale dell’opera e i « Mottetti oscuri ». 2. La strana e Costanza » e la misteriosissima « Vedova ». 3. La canzone Se più non raggia e il suo significato segreto. 4. Il Tractatus Amoris e la figura ri- velatrice della setta di Amore.

LA

CAPITOLO X. LA MISTERIOSA DONNA DELL’« ACERBA » DI CECCO D’ASCOLI. t. I rapporti di Cecco D'Ascoli con Dante e con gli altri « Fedeli d'A- More ».

CAPITOLO XI. LA « VITA NUOVA » DI DANTE TRADOTTA DAL GERGO . . È

1. Il mito di Beatrice. 2. Dalla iniziazione al saluto rituale. 3. La canzone Donne che avete intelletto d'amore e la risposta delle «donne» a Dante. 4. La mistica morte di Beatrice-Rachele. 5. La Donna Gen- tile (Filosofia) di fronte alla Sapienza mistica (Beatrice). 6. Il ritorno a Beatrice. 7. La « sentenzia » della Vita Nuova.

CAPITOLO XII. I PENSIERI SEGRETI NELLE « RIME » DI DANTE.

1. Le Rime tradotte dal gergo. 2. Le canzoni di odio contro la « Pietra ». 3. La canzone 7ye donne fatta di « color nuovi» 4. Le rime varie del tempo dell'esilio.

Pag. 136

1 50

204

236

251

203

327

INDICE 13

Pag. CAPITOLO XIII. LA « DIVINA COMMEDIA » E I « FEDELI D'AMORE ». . . . 378 1. L’erompere della Divina Commedia dall'ambiente settario. 2. La dottrina originale della Divina Commedia e il suo nuovo simbolismo. 3. Tracce del gergo dei « Fedeli d’Amore » nella Commedia. 4. « Per Cru- cem et Aquilam ad Rosam». 5. I consettari di Dante e la Commedia. 6. La beffa dantesca del «fedele d'amore » Giovanni Boccaccio.

CAPITOLO XIV. OBBIEZIONI, DUBBI, PROBLEMI . . ...... |P kb 400

1. Le pseudo-obbiezioni della critica « positiva ». 2. Le obbiezioni. 3. Il problema della origine e della natura del movimento dei « Fedeli d’A- more ». 4. Il problema della estensione e della durata del movimento. 5. Il Boccaccio. 6. Il Petrarca e il dissolversi della tradizione dei « Fe- deli d’Amore ».

APPENDICE. LA LEGITTIMA ATTRIBUZIONE DEL « FIORE » A DANTE . . . . 443 NOTE AGGIUNTE 2. © pae ile a RL Ae 448

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INTRODUZIONE

La Storia dell’idea

Ogni sottil parladura s'intende. Perchè l’uom non v’attende ? È negligenza o viltà che contende!

FRANCESCO DA BARBERINO.

Quando la mia interpretazione della Croce e dell'Aquila, nella quale si risolvevano tutti i più ostinati problemi del simbolismo della Divina Commedia, fu compiutamente delineata ed i consensi quasi unanimi di quelli che la conobbero mi ebbero fatto certo di aver posto un caposaldo sicuro per la co- noscenza del pensiero segreto di Dante (I), io mi trovai dinanzi due quesiti.

I) In quale rapporto si trova la dottrina segreta della Croce e del- l’Aquila, nascosta nella Divina Commedia, con il pensiero delle altre opere di Dante e specialmente con il pensiero così nebuloso ed oscuro della Vita Nuova e di alcune canzoni ?

2) Questo pensiero segreto di Dante era veramente il pensiero di un solitario, affidato a formule che nessuno doveva penetrare o era un pensiero che qualcuno, consapevole delle profonde idee del poeta, in qualche modo iniziato ad esse, compagno e partecipe delle sue lotte, doveva intendere per trarne conforto e speranza ?

Questi problemi mi riportarono ad una nuova considerazione delle più oscure liriche di Dante e di tutte le poesie con le quali esse strettamente si ricollegano; mi riportarono al problema del « dolce stil novo » e del vero carattere di quella strana poesia: ove un amore che non somiglia affatto al comune amore degli uomini si confonde con tante strane idee dottrinali in un tono di così vago misticismo ; di quella poesia che si aggira intorno ad irreali, inafferrabili donne e che suona spesso in maniera così oscura da rimanere ancora in tanta parte incomprensibile.

(1) Vedasi per questa interpretazione (riassunta nel presente volume al capitolo sulla Divina Commedia) VALLI: Il segreto della Croce e dell’Aquila nella Divina Com- media. Bologna, 1922; VALLI: La chiave della Divina Commedia. Sintesi del simboli- smo della Croce e dell'Aquila. Bologna, 1926; VALLI: Note sul segreto dantesco della Croce e dell'Aquila in «Giornale dantesco » vol. XXVI, quaderno 4°, vol. XXVII, q. 1, vol. XXVIII, q. 3, vol. XXIX, q. 4.

16 INTRODUZIONE

Io tornai allora con assai maggiore attenzione allo studio delle opere di Gabriele Rossetti (1). Era un poeta i cui scritti danteschi erano stati, come ho detto, vituperati e derisi dalla critica ufficiale, ma questo mi era di buon augurio, perchè dalle opere ugualmente vituperate e derise di un altro poeta, Giovanni Pascoli, avevo tratto gli spunti per la mia scoperta della dottrina dantesca della Croce e dell'Aquila.

Il Rossetti apparisce a prima vista a chiunque come un pensatore senza freno e senza metodo, che lavorava sopra un materiale non criticato, che mancava assolutamente di ogni rispetto per la cronologia, che ragionava non senza passione di amore per la tradizione rosacruciana da lui seguìta e non senza passione di odio contro la Chiesa di Roma; ma tutti questi suoi gravi difetti non riuscirono a nascondermi prima l’importanza e poi l'evidenza di una sua idea, che diveniva via via ad ogni pagina sempre più convincente e che diventò convincentissima quando, abbandonato il Rossetti, tornai a studiare nel lume di quella idea la lirica d’amore del x e del xIv secolo.

Il Rossetti, o che lo afferrasse per una felice intuizione, o che (come mi pare più probabile) lo apprendesse da una tradizione dei fratelli Rosa- croce, ai quali apparteneva, ritenne che la poesia d’amore del Medioevo fosse costruita in un gergo convenzionale per il quale, sotto l'apparenza dell’amore, esprimeva idee di natura mistica e religiosa o politica. Queste idee potevano con tale artificio essere comunicate tra una schiera di iniziati, che si chiamavano appunto i « Fedeli d’amore », e sfuggire in pari tempo alla «gente grossa », come essi dicevano, e all’Inquisizione, che dovean vedere in quelle poesie soltanto l’espressione di sentimenti amorosi. Le donne di questi « Fedeli d'amore », qualunque nome esse portino, o si chiamino « Rosa », come si chiama sempre (per evidente convenzione) la donna di tutti i poeti siciliani, o si chiamino « Beatrice » o « Giovanna » o « Lagia », 0 « Selvaggia », sono tutte una donna sola o, meglio, una sola idea ; una dottrina segreta della quale l’anima di questi adepti è innamorata. E poichè è facile e comune traslato il designare i fedeli di qualcuno o di qualche cosa col nome della cosa stessa (noi di- ciamo per esempio : « Cristo ha vinto» per dire: «Ha vinto il Cristiane- simo »), tale donna amata servì agli adepti anche per designare segretamente la setta alla quale essi appartenevano e della quale si dicevano fedeli.

Il Rossetti raccolse un numero stragrande di potentissimi indizi per

(1) Le opere del Rossetti sono : La Divina Commedia di Dante Alighieri con com- mento analitico. Londra, 1837. Contiene i due primi volumi riguardanti l'Inferno. Parte del Purgatorio è inedita e il manoscritto si trova a Vasto. Sullo spirito an- tipapale che produsse la Riforma e sulla segreta influenza ch'esercitò nella letteratura d'Europa e specialmente d’Italia, come risulta da molti suoi classtci, massime da Dante, Petrarca e Boccaccio. Londra, 1832. Il mistero dell’amor platonico nel Medioevo (5 volumi). Londra, Taylor, 1840 (molto raro). La Beatrice di Dante. Ragiona- menti critici. Londra, 1842. La parte stampata è soltanto un terzo dell’opera.

INTRODUZIONE 17

dimostrare questo fatto, ma da principio errò assai gravemente nell’inter- pretare il carattere di questa dottrina segreta, perchè credette che questi « Fedeli d’amore » fossero sertplicemente una setta ghibellina, che dissimu- lava in ambiente guelfo il suo ghibellinismo e designava in questa mistica donna l’idea imperiale. In seguito egli trasformò la sua interpretazione e, ricollegando tutto questo movimento ai misteri antichi, considerò « Fedeli d’amore » come continuatori di un segreto culto pitagorico per una Sapienza iniziatica e odiatori della Chiesa e della sua dottrina (I).

Ma l’idea del Rossetti si confuse, si corruppe e ondeggiò tumultuosa- mente in molti volumi che mettevano in luce innumerevoli importantissimi fatti, ma nei quali faceva gravemente difetto la disciplina del pensiero e la rigidezza del metodo.

I tempi che seguirono parvero facilmente sopraffare e distruggere tutta l’opera rossettiana.

Cospiravano insieme a questa distruzione, oltre ai difetti gravi dei li- bri del Rossetti, tendenze e interessi di diversissima natura.

Fra contraria a quest'opera la critica rigidamente storica, attaccata ai documenti e alla lettera dei documenti e, per la sua stessa precisione e determinatezza, assolutamente incapace di sentire e di apprezzare una vena di pensiero volutamente nascosta sotto quelle poesie, che con tanta pa- zienza essa scopriva, collazionava e redigeva secondo il testo critico. Era quella stessa critica che ha frugato parola per parola tutta la Divina Com- media e poi ha coperto di scherni Giovanni Pascoli il giorno in cui egli ha cominciato la rivelazione del vero contenuto di essa.

Fra contrarissima all'idea del Rossetti una rettorica romantica che si estasiava e voleva che tutti si estasiassero avanti a queste donne eteree, inafferrabili, angelicate, e voleva a qualunque costo che fossero delle donne vere e gridava con grande enfasi: « Al barbaro ! Al barbaro | » contro chi osava dimostrare semplicemente che la realtà storica di queste donne non era provata.

Era contraria all'idea del Rossetti la critica estetica, che si infastidiva delle interpretazioni complicate e del simbolismo e riteneva che la discussione sui simboli (che pure erano tanti e così evidenti in quella poesia) distraesse dal gustare gli elementi lirici e veramente poetici della poesia stessa e spesso non si accorgeva di quanto questi elementi di pura poesia fossero scarsi e saltuari.

—— —_ —°—>

(1) Per quanto riguarda il ricollegarsi delle idee di Dante con le antiche tradizioni misteriche si deve ricordare che contemporaneamente al Rossetti lo aveva messo in luce Carlo Vecchioni, Vicepresidente della suprema Corte di giustizia a Napoli. Il Rossetti citò con onore lo scritto di lui Della intelligenza della Divina Commedia (Par. I, vol. I, 1832, Napoli, dalla stamperia del Fibreno), ma il Vecchioni tacque o meglio forse dovè tacere dopo esposte le sue prime scoperte. Si veda La Beatrice di Dante del Rossetti, pag. 90 e seguenti.

2-—- VALLI.

18 INTRODUZIONE

Fra finalmente contrarissimo alla tesi del Rossetti un gruppo di zela- tori della ortodossia, i quali fecero condannare uno dei libri del Rossetti che aveva suscitato un certo interesse, scagliarono contro di lui le autorevoli scempiaggini di un critico illustre, lo Schlegel (1), mentre si riusciva a far che la vedova di Gabriele Rossetti bruciasse la maggior parte delle copie de Il mistero dell’Amor platonico, opera tumultuosa ma ricchissima di docu- mentazioni, lasciata dal marito e che divenne assai rara (2). E mentre l’opera del Rossetti veniva bruciata, si moltiplicavano con grande sforzo e dispendio nella seconda metà del secolo scorso cattedre di dantologia cattoliche e com- menti cattolici del Poema, tendenti tra l’altro non senza fortuna a soffocare ogni discussione serena ed obbiettiva sulle idee affacciate dal Ros- setti.

Ma un’altra forza fu contro l’opera del Rossetti : quella dei suoi seguaci. Un cattolico francese, l’Aroux, difese e sviluppò in blocco le idee del Ros- setti in quel volume Dante hérétique révolutionnaire et socialiste, che ebbe qualche risonanza in Francia nella seconda metà del secolo scorso (3). Ma l’Aroux commise due gravissimi errori : anzitutto egli per zelo cattolico esa- gerò grossolanamente quegli elementi apparentemente eterodossi del pensiero di Dante, che già il Rossetti a sua volta aveva esagerati per spirito anticle- ricale. Il Rossetti credeva di sollevare l'ombra di un Dante eretico contro la Chiesa che egli combatteva nel campo politico, l’Aroux credeva di dover difendere la Chiesa dal culto infesto di questo Dante eretico e rivoluzionario. Nessuno dei due si trovava in condizioni di spirito abbastanza serene per con- siderare limpidamente il valore dei fatti che studiavano.

Ma non basta. L’Aroux aveva un debolissimo spirito critico e seguì il Rossetti anche in una sua grossa deviazione, cioè nello sforzo di risolvere nel gergo segreto anche la Divina Commedia, anzi l’Aroux si affisò spe- cialmente su questa e pretese di ritrovare un elemento di una dottrina segreta in ogni personaggio, quasi in ogni parola del Poema sacro (4).

(1) A. W. SCHLEGEL: Dante, Petrarque et Boccace. A propos de l'ouvrage de M. Rossetti: Sullo Spirito Antipapale, in « Revue des deux Mondes », 1836, Tome VII, IV serie, pagg. 400-18. \

(2) Ringrazio qui la gentile Signora Olivia Rossetti Agresti, nipote di Gabriele Rossetti e moglie del mio caro compianto amico Antonio Agresti, la quale mi concesse di poter largamente esaminare quest’opera preziosissima proprio nella copia rimasta tra le mani del Poeta.

(3) AROUX: Dante hérétique vevolutionnaire et socialiste. Révélations d'un catho- lique sur le moyen dge. Paris, 1854.

(4) L’Aroux sviluppò le sue idee in molti altri volumi tra i quali: La Comédie de Dante traduite en vers selon la lettre, et commentée selon l’esprit. Paris, 1856. E ancora : Clef de la Comédie anticatholique de Dante Alighieri. Paris, 1856 ; L’hérésie de Dante demon- trée par Francesca da Rimini. Paris, 1857; Preuves de l’hérésie de Dante notamment au sujet d'une fusion opérée en 1312 entre la Massenie Albigeoise, le Temple et les Gibelins. Paris, 1857. Il più serio e il più importante dei suoi volumi è però : Les Mystères

INTRODUZIONE 19

Così il mondo, invece di vagliare le idee del Rossetti, le trattava con odio o con disprezzo aprioristico o sviluppava goffamente ciò che esse ave- vano di meno serio.

Attraverso l’opera dell’Aroux, le idee del Rossetti giunsero ad alcuni rosacruciani moderni, come al Péladan (I), che trattò l'argomento confes- sando di ignorare l’opera del Rossetti (2) e che ne fece delle sbocconcella- ture di terza mano così poco solide scientificamente da non aumentare certo il loro credito presso gli uomini di studio (3).

La inconsapevole coalizione di queste enormi forze contrarie e la non felice alleanza fecero inabissare quasi nell’oblio anche quello che vi era di. serio nell’opera del poeta abruzzese, opera alla quale ormai qualcuno ac- cenna soltanto come ad una bizzarria mostruosa e altri crede di non dover dare neppure il posto di una curiosità quando tratta della interpretazione del pensiero di Dante.

* * *

Eppure, mentre tra il fumo del domestico rogo inflitto al maggiore dei suoi scritti, i disdegni di una critica superficialissima e gli odii nemici, l'opera di Gabriele Rossetti sembrava per sempre dimenticata, molte cose accadevano che avrebbero dovuto consigliare di tornare ad essa con maggiore serietà e ponderazione.

La critica romantica, che insisteva nel volere per forza ritrovare nelle donne cantate dai poeti del « dolce stil novo » delle donne vere, si impi- gliava sempre più goffamente in un ammasso di poesie evidentemente sim- boliche, che trovava intrecciate alle parole di amore ; mentre delle donne che le avevano ispirate non riusciva ad afferrare in nessun modo la consistenza reale, attraverso i documenti storici, attraverso la vera impressione intima dei poeti. Se qualche volta qua e là, un senso di amore vero sem- brava balenare in qualche poesia, che naturalmente riusciva subito più bella delle altre e trovava subito il suo posto nelle antologie (falsando così nei giovani la vera impressione di questa poesia), l'enorme maggioranza di quelle liriche rimaneva un insieme di formule gelide, convenzionali, oscure, impasticciate di dottrina e di moralismo, e non si riusciva a vedervi affatto quella verità o spontaneità dell'amore che si pretendeva di ritrovare in esse.

E mentre nel gruppo dei poeti che è intorno a Dante appariva sempre

de la Chevalerie et de l'amour platonique au moyen dge. Paris, 1858, dove si ricerca il significato occulto di molti romanzi cavallereschi.

(1) PÉLADAN: Les idées et les formes. La Doctrine de Dante. Paris, 1908.

(2) Op. cit. pag. 71: « M. Rossetti dont je n’ai pas lu les ouvrages ».

(3) Dello stesso tipo con aggiunta di qualche riferimento al misticismo indiano è il piccolo libro del GUENON: L’ésoterisme de Dante. Paris, 1925. Ma egli pure evi- dentemente non conosce il Rossetti, perchè attribuisce tutte le scoperte del Rossetti all’Aroux.

20 INTRODUZIONE

meglio poca verità di amore e molto dottrinarismo e molte formule con- venzionali, un critico ben più composto e sereno del Rossetti, cioè Francesco Perez, movendo confessatamente sulla via che il Rossetti aveva segnato, dimostrava in un suo mirabile libro, pieno di dottrina e di senno e di lo- gica (1), che la Beatrice di Dante è non soltanto nella Divina Commedia, ma fino dalle prime parole della Vita Nuova, il simbolo della Sapienza santa, di quella stessa che già il libro salomonico della Sapienza aveva cantato sotto la figura della donna e che si identificava con la « mistica sposa » del Cantico dei Cantici.

Non basta. Un dotto Gesuita, il Gietmann (2), senza tener nessun conto dell’opera del Rossetti, scriveva un libro in molte sue parti effica- cissimo, per dimostrare che la Beatrice della Vita Nuova è simbolica e rappresenta la « Chiesa ideale » (quello stesso che rappresenta nella scena apo- calittica del Purgatorio). E, se nelle sue applicazioni speciali appariva troppo impacciato dal suo zelo ortodosso, si avvicinava molto al vero e riusciva efficacissimo nel dimostrare che essa era un simbolo di una idea mistica, e nel demolire la pretesa Beatrice reale.

Ma mentre la principale di queste pseudo-donne, ad onta della falsifi- cazione del Boccaccio (che, essendo un « Fedele d'amore », dette ad intendere agli ingenui dell'età sua e delle età posteriori che fosse donna vera quella Beatrice, che egli sapeva benissimo essere simbolo pericoloso a nominarsi) e ad onta del famoso testamento di Folco Portinari (che testimonia, sì, es- sere esistita una signora Beatrice dei Bardi nata Portinari, ma non pesa neppure un grammo per dimostrare che questa fosse la donna amata da Dante), mentre dico, la principale di queste donne rivelava il suo vero volto di mistica Sapienza, nel quale anche Giovanni Pascoli la riconobbe (3), un contributo interessantissimo veniva dato alla questione dallo studio della poesia persiana.

Si illuminò sempre meglio il fatto che in Persia e in genere nel mondo islamico, tra il IX e il xv secolo, un vastissimo movimento mistico e reli- gioso si era svolto proprio a quel modo che il Rossetti aveva delineato per la setta der « Fedeli d'amore ». Mistici mussulmani e Sufi, in Persia, avevano scritto una quantità enorme di poesie nelle quali la mistica Sapienza che conduce a Dio o Dio stesso erano rappresentati e cantati simulatamente sotto la figura della donna e qualche volta persino (orrore !) del giovane cop- piere amato : poesie nelle quali (proprio come vedeva il Rossetti nella poesia dei « Fedeli d’amore » italiani) si fingeva di parlare della donna e si parlava

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(1) PEREZ: La Beatrice svelata. Palermo, 1865, ristampata nel 1898.

(2) GIETMANN: Beatrice. Geist und Kern der Dantes'schen Dichtung, 1889. Egli fu seguito in parte da un altro dotto gesuita, l’Earle: La Vita Nuova di Dante. Bo- logna, 1899.

(3) PASCOLI: La mirabile visione.

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INTRODUZIONE 2I

della Sapienza o di Dio con termini convenzionali secondo i quali Za bocca, 1 capelli, il sorriso, il neo della donna avevano un preciso significato mistico iniziatico (1) e si parlava così perchè la plebe della « gente grossa » non in- tendesse e forse perchè non intendesse la gelosa ortodossia mussulmana che, come la cristiana, sebbene meno ferocemente, era avversa a quel misti- cismo che tendeva a rimettere l’uomo direttamente nel cospetto e nel con- tatto di Dio. i

Il Rossetti aveva già avuto qualche sentore di questo fatto (2), non solo, ma aveva portato molti argomenti a dimostrare che l’uso di velare sotto le formule convenzionali dell’amore idee mistiche ed iniziatiche era venuto appunto dalla Persia attraverso i Manichei, i Catari (Albigesi) e at- traverso i Templari, che ritroveremo molto legati a tutto questo movimento ; e che tale uso era passato dai Provenzali ai poeti Siciliani (Federico II, Pier delle Vigne, Jacopo da Lentini) e da questi ai Bolognesi (Guinizelli) e ai Toscani (Cavalcanti, Dante, Cino, etc.).

Si aveva in tal modo non solo la conoscenza di un fatto perfettamente analogo a quello rivelato dal Rossetti, che acquistava così una molto mag- giore verosimiglianza, ma la poesia mistica pseudo-amorosa della Persia e la poesia pseudo-amorosa dell’Italia, venivano anche storicamente legate tra loro. La mistica « Rosa », mèta di tanti sogni e sospiri e appassionati aneliti nella poesia persiana (ove l’usignolo, simbolo dell’anima, anela nel suo amore alla mistica Rosa) e mèta di simbolici viaggi fino nel tardo romanzo indo- stanico La rosa di Bakavali, appariva assai somigliante a quella « Rosa » che è l’unica donna cantata nella primitiva poesia italiana, la mèta dell'amore nel Romanzo della Rosa e nel Fiore, come è la mèta del viaggio sacro di Dante, il quale soltanto in forma di una « Rosa », troverà manifestato «il tempio del suo voto ».

Ma non basta ancora. Sulla traccia delle prime mirabili intuizioni di Giovanni Pascoli si riusciva a ricostruire la dottrina segreta della Croce e dell'Aquila nascosta nella Divina Commedia, e risultava evidente che gli artifici simbolici del Poema Sacro miravano appunto a nascondere una dot- trina teologico-politica arditamente originale e, per quanto cattolica nel suo spirito, certo non gradita alla Chiesa del tempo. Si rendeva quindi sem- pre più verosimile che qualche cosa di analogo si nascondesse sotto quegli evidenti artifici simbolici, con i quali Dante e i suoi amici « Fedeli d'amore » parlavano dei loro strani amori con tanta cura di nascondere il loro pen- siero alla « gente grossa ».

Pertanto, mentre la critica realistica inseguiva invano la realtà di que- ste inafferrabili donne, mentre la critica estetica doveva metter da parte come artificiose, convenzionali e gelide l'enorme maggioranza di queste poe-

(1) Pizzi: Storia della Poesia persiana (due volumi). Torino, 1894. (2) Il mistero dell’Amor platonico, Vol. III.

lei Sin

22 INTRODUZIONE

sie che non rivelavano nessuna vera commozione d’amore, mentre restava oscurissimo questo amalgamarsi dell'amore con la filosofia, con la religione e perfino con la politica (1), d'altra parte :

1) la dimostrazione del Perez rivelava nettamente il carattere di sim- bolo mistico in una di queste donne : la Beatrice della Vita Nuova;

2) l'esempio della poesia persiana dimostrava la verosimiglianza della ipotesi che anche in Italia sotto la poesia d’amore fosse nascosto un segreto linguaggio mistico ed iniziatico ;

3) la dottrina della Croce e dell'Aquila confermava nello spirito del maggiore dei poeti del tempo un pensiero religioso originale nascosto sotto simboli d’amore e sotto astruse moralizzazioni.

Questi fatti nuovi, che da così diverse parti deponevano a favore della esistenza di un gergo segreto e di una dottrina segreta nella poesia dei « Fe- deli d’amore », consigliavano di tornare con animo più sereno e più obbiettivo e con un serio e pacato esame alla ipotesi di Gabriele Rossetti.

E questo io feci. Lasciai da parte le molte e complicate deduzioni e confusioni del critico poeta, ma lasciai da parte per un momento anche il grosso fardello delle idee confuse e contraddittorie che la critica « positiva », senza andar mai al fondo del problema, ci ha imposto nella scuola. Mi ri- misi dinanzi alla poesia dei «Fedeli d’amore », domandandomi semplice- mente, se l'ipotesi che essa contenga un gergo ed una dottrina segreta regga ad un vasto esame comparativo di tutta questa poesia.

Mi valsi naturalmente dei risultati della critica filologica che mi dove- vano risparmiare molti dei grossi errori del Rossetti, ma misi in quarantena tutte le conclusioni che i filologi avevano elaborato intorno alla vera natura della poesia d’amore, e soprattutto gli sciocchissimi giudizi sommari pro- nunziati in questa materia.

Io feci questo semplicissimo ragionamento :

Il Rossetti afferma che in queste poesie d’amore alcune parole hanno un significato convenzionale, cosicchè il vero senso di quelle poesie è comple- tamente diverso da quello che apparisce al lettore ingenuo. Come risolvere la questione se ciò sia vero o no? Con un esempio o due o tre non si dimo- stra nulla. Con le chiacchiere generiche ed aprioristiche : « Dante non poteva avere idee eterodosse », oppure : « Dante dovette parlare di amore nel senso umano della parola » ;} oppure : « La poesia a doppio senso è una cosa brutta »; oppure : « Qui, in questo sonetto io sento l’immediatezza e la spontaneità », ecc., con queste chiacchiere, dico, che possono moltiplicarsi all'infinito, non

(1) Un uomo di profondissima competenza su cose medioevali G. Volpe (Movi- menti religiosi e sètte ereticali nella società medioevale italiana) scrive : « Quel raccogliersi in degli uomini che, sdegnosi della Chiesa terrena, vagheggiano ottimisticamente una chiesa primitiva, creatura della loro immaginazione, stimolo all'arte ed alla filosofia, legate da misteriosa parentela con il sentimento religioso ». (pag. 195).

INTRODUZIONE 23

si può risolvere un problema come questo. Bisogna avvicinarsi a un me- todo matematico.

Bisogna riesaminare nella grande massa di queste poesie tutti i passi net quali compaiono quelle tali parole sospette. Se è vero che queste parole hanno un significato segreto, vuol dire che sostituendo al loro significato aperto il sup- posto significato segreto, la frase e la poesia debbono rendere costantemente un senso e per di più rivelare un senso plausibile e più profondo dove il senso letterale è strano, oscuro o sciocco.

Questa prova, io dissi fra me, è necessaria e sufficiente.

Necessaria perchè finchè le interpretazioni e le traduzioni dal gergo si limitano a pochi passi scelti qua e più o meno arbitrariamente, non ci si potrà mai liberare dal dubbio che la rispondenza del pensiero segreto col pensiero apparente, anche se a prima vista impressionante, non sia casuale. Se le poesie sono scritte in gergo, il gergo deve spiegare non tre o quattro o venti poesie, ma tutta la grande massa di queste poesie.

E questa riprova sarà sufficiente perchè, se in centinaia di poesie scritte da un gruppo di amici, che dichiaravano d’intendersi soltanto tra loro, è possibile cambiare radicalmente il senso di una trentina di parole fondamen- tali ottenendo, non solo un significato coerente, ma un significato nuovo e più profondo, il fatto non può essere casuale e resta dimostrato per ciò solo che quelle poesie sono artificiosamente costruite da chi aveva la mente al senso riposto di quelle parole ; che in altri termini quelle poesie sono scritte veramente 1n gergo.

Io redassi allora con lunga fatica un grande schedario di tutti i passi delle poesie del « dolce stil novo », nei quali questi poeti avevano usato le parole sospette ed esaminai caso per caso se, sostituendo alla parola sospetta il suo presunto significato segreto, la frase desse ancora un senso e le poesie presentassero un significato nuovo e coerente con un ordine di idee segreto a tutte comune.

Posso assicurare che i « critici positivi », che hanno sbeffeggiato i libri del Rossetti senza leggerli, non hanno mai fatto un lavoro di carattere così « po- sitivo » nel senso serio della parola. E si comprende il perchè. Questo era un la- voro lungo e faticoso. Era molto più facile e spicciativo dare al Rossetti del bazzo, dire che non si aveva tempo da perdere e tirare avanti, tanto più che così non si rischiava di dover tornare su quelle poche ideucce melense ricevute su questo argomento nella scuola e ripropagate con tanta sicumera nei propri libri!

Da quella mia lunga indagine sorsero le conclusioni che riassumo ed espongo in questo libro e che, dirò subito, sono le seguenti :

I) È vero che la poesia dei «Fedeli d’amore », specialmente quella di Dante e dei suoi più immediati predecessori, dei suoi contemporanei e dei suoi successori, è scritta in un gergo segreto per il quale una trentina di parole almeno (il Rossetti ne aveva già segnalate alcune, ingannandosi

24 INTRODUZIONE

su altre) hanno costantemente, oltre al significato apparente e riguardante materia d'amore, un secondo e talvolta anche un terzo significato conven- zionale, riguardante le idee di una dottrina iniziatica e la vita di un gruppo di iniziati. Queste parole sono proprio quelle che con esasperante monoto- nia riempiono i versi di questi « Fedeli », presentando spessissimo dei non- sensi nel piano letterale e cioè : amore, madonna, morte, vita, donne, folle, e follia, freddo, gaiezza, gravezza, nota, natura, piangere, pietra, rosa, fiore, fonte, saluto, selvaggio, vergogna ed altre di uso meno frequente.

2) È vero che tutte le donne del « dolee stil novo » sono in realtà una donna sola e cioè la Sapienza santa (1), la quale nell'uso speciale del « dolce stil novo » prende convenzionalmente un nome diverso per ogni diverso amatore e si chiama Beatrice per Dante, Giovanna per Guido Ca- valcanti, Lagia per Lapo Gianni, Selvaggia per Cino e via di seguito. E poi- chè, come ho detto sopra, la dottrina coltivata da una setta e la setta stessa vengono confuse sotto la stessa designazione, queste donne servono anche a designare la setta dei « Fedeli d'amore ».

3) La Vita Nuova di Dante è scritta tutta in questo gergo : è tutta simbolica dalla prima all’ultima parola e riguarda la vita iniziatica di Dante e i suoi rapporti non già con la moglie di Simone de’ Bardi, ma con la Sa- pienza santa e con il gruppo che la coltivava. Pertanto la Beatrice della Vita Nuova non differisce sostanzialmente da quella che appare trionfante sul carro della Chiesa nella visione apocalittica della Divina Commedia.

4) Le poesie più oscure dei « Fedeli d’amore » e specialmente le oscu- rissime canzoni di Dante, sulle quali si sono inutilmente affannati coloro che ignoravano il gergo, lette secondo il gergo sciolgono la loro oscurità, si fanno di «color nuovi » e acquistano una chiarezza, una coerenza, una profondità insospettate. Non solo, ma con la conoscenza del significato segreto di que- ste poche parole del gergo, si chiariscono agli occhi nostri e si trasformano completamente nel loro spirito, altre opere assai oscure dei contemporanei di Dante, come i Documenti d'Amore di Francesco da Barberino, l’Intelli- genza di Dino Compagni, l’Acerba di Cecco d'’Ascoli, opere che, pur diffe- rendo esteriormente dalla poesia d’amore del « dolce stil novo » sono infor- mate allo stesso profondo spirito mistico, alla stessa dottrina segreta; escono, in altri termini, dal seno della medesima setta.

5) Queste poesie, una volta tradotte nel loro significato reale con la chiave del gergo, al posto di quell'amore vago, stilizzato, monotono, freddo, artefatto, che mostrano quasi sempre secondo la lettera, ci rivelano una vita intensa e profonda di amore per una mistica idea, ritenuta la vera es- senza della rivelazione cattolica, di lotta per essa, contro la Chiesa carnale e corrotta, detta convenzionalmente «la Morte» o «la Pietra » e che è

(1) Dobbiamo rendere onore all’acuto spirito del canonico Biscioni, che già nel 1722 aveva intuito in parte questa verità, esponendola nella Prefazione alle Prose di Dante.

INTRODUZIONE 25

dipinta come avversaria della setta dei « Fedeli d’amore » e come occultatrice di quella Sapienza santa che i « Fedeli d'amore » perseguono sotto la figura della donna ; ci rivelano una serie di mistici rapimenti, di grida che invo- cano soccorso contro le persecuzioni e le minacce degli avversari, di ecci- tamenti con i quali gli adepti si confortano reciprocamente a rimaner fedeli all'idea santa, ed altre cose altissime e profondissime, dinanzi alle quali la poesia d'amore fittizia, che sta alla superficie, cade, e quasi sempre senza nostro rimpianto, come una insignificantissima scorza, lasciandoci mara- vigliati di aver potuto credere che tutta quella fosse veramente poesia di amore. * * *

Tali le tesi di questo libro, certo insufficiente per raccogliere e organiz- zare tutta l'immensa massa degli argomenti e lo scopo del quale è soprattutto di suscitare il senso di questo problema nell'animo di* pochi spiriti obbiettivi.

Dico pensatamente « di pochi ». Le forze, o meglio, gli interessi che in- consapevolmente si coalizzarono per schiacciare le prime rivelazioni del Ros- setti, esistono infatti ancora e non è sperabile che abbiano disarmato.

Ancora molte nostre scuole sono dominate da quella critica « positiva » che è per sua natura insensibile alle finezze del simbolismo. Come è natu- rale, la enorme massa di critici e storici, educati nel disprezzo dell’opera rossettiana (che in genere non hanno mai nemmeno conosciuto direttamente), presenteranno una potente resistenza all'esame obbiettivo di quanto io dirò. Senonchè ripeto che l'esempio di quanto avvenne a questa critica « posi- tiva » a proposito degli studi del Pascoli, da essa per venti anni disprez- zati e derisi e nei quali oggi innumerevoli studiosi riconoscono la prima potente rivelazione del pensiero della Commedia, se non renderà i critici positivi più cauti nei loro solenni dispregi, renderà il pubblico più diffidente verso 1 giudizi sommari che essi sogliono emettere.

Ancora si troveranno forse zelatori della ortodossia, pronti a negare quello che qui si afferma e si dimostra, non tanto per ragioni obbiettive quanto per istintiva e cieca ripugnanza ad ammettere che un movimento in qualche senso contrario alla Chiesa di Roma abbia potuto essere l’anima di una così vasta attività di pensiero e d’arte. Ma, senza divergere in nulla da quella che a me appare come verità storica obbiettiva, dichiaro subito che la mia ricostruzione del pensiero dei « Fedeli d’amore » li rivela assai più vicini all’ortodossia cattolica di quanto non li ponessero nelle loro mol- teplici confusioni il Rossetti e l’Aroux. La donna di questi « Fedeli d'amore » è presso a poco quello che è la Beatrice nella Divina Commedia, non già estranea o nemica della Chiesa, ma Sapienza santa affidata da Cristo alla Chiesa primitiva e che il fedele ricerca in ispirito per sue vie, soltanto per- chè la Chiesa presente, nella sua corruzione, l'ha dimenticata o offuscata fino a combatterla; perchè, in altri termini, sul carro santo della Chiesa, corrotto, dopo la fatale donazione di Costantino, dai beni mondani e sfon-

20 INTRODUZIONE

dato da Satana, al posto della Sapienza Santa (Beatrice) sta fer «1 momento la meretrice indegna, secondo la visione dantesca del Paradiso terrestre.

So che tutto questo non basterà a tranquillizzare i fanatici e gli estre- misti sia ortodossi che eterodossi, ma io faccio una ricerca storica e non posso tener troppo conto delle preoccupazioni di parte.

Ma esiste ancora inoltre (e, per quanto ciò sembri strano, sarà la più potente avversaria della mia tesi) la rettorica romantica, che ci opprime da un secolo e che vuole estasiarsi dinanzi alla realtà storica di queste donne e si ostinerà per molto tempo ancora nello sforzo di trarle dalla loro incon- sistenza ed evanescenza ad una vera vita, che esse non hanno mai avuto non solo nella storia, ma neanche nell’arte. Per questa rettorica io sarò an- cora un «barbaro », perchè tenterò distruggere, essi diranno, questa bella figura della donna reale angelicata. Per me i poeti del «dolce stil novo », vestendo della figura di donna vera la divina e santa Sapienza, resero alla femminilità un omaggio non minore di quello per il quale una donna vera sarebbe stata travestita da Sapienza divina. Tuttavia mi diranno un « bar- baro » perchè, invece di affermare che la poesia del « dolce stil novo » « se- condo il mistico e bizzarro uso del tempo » angelicava le donne vere, affermo che quella poesia, mettendo il Poeta in rapporto con Dio attraverso una idea, quella della Sapienza santa o «mistica Rivelazione », personificava questa idea, come il Cantico dei Cantici, come il Libro della Sapienza e come i libri di Sant'Agostino in una donna bella e pura.

Io mi scrollo serenamente dalle spalle fin da ora le solenni ammoni- zioni, i disdegni altezzosi, i volgari dispregi, gli sciocchi sarcasmi e le tirate romantiche che eventualmente mi aspettano. Saprò ben io e sapranno anche gli altri dopo di me distinguere ed apprezzare e raccogliere e utiliz- zare le obbiezioni serîe e ragionate che mi verranno opposte in nome del vero amore per la verità.

Queste mie idee, del resto, non possono vogliono, almeno per ora, avere il consenso di tutti e nemmeno della maggioranza. Mi basta che richiamino l’attenzione di un gruppo di giovani studiosi perchè essi esplo- rino, sulle tracce che qui si indicano, il mondo sotterraneo di questa poesia, del quale io non segno altro che qualche prima e talora non sicurissima linea.

È un mondo immenso che come vedremo, non può essere esplorato da uno solo ; e questa esplorazione ha una sua enorme importanza. Si tratta di conoscere il vero contenuto spirituale della poesia d'amore italiana : si tratta di sapere se la nostra letteratura, accusata di erotismo e di freddezza religiosa, non abbia invece vissuto per più di un secolo proprio di appas- sionate idee mistiche espresse sotto il velo dell'amore.

Il problema merita quegli studi profondi, accurati, condotti con se- rietà, con pazienza e con libertà di spirito, che fino ad ora non sono stati neppure iniziati.

CAPITOLO PRIMO

Gli strani amori dei ‘Fedeli d’amore,,

e

E però ciò ch’'uom pensa non dee dire. GUINIRELLI.

Chi riconsideri con l’animo sgombro dalle formulette della critica tradi- zionale l’insieme della poesia dei «Fedeli d’amore » e specialmente della poesia detta del « dolce stil novo », deve constatare una serie di fatti assai strani, che, se le poesie si prendano esclusivamente nel loro senso letterale, restano difficilmente spiegabili e che invece diventano molto chiari se si as- suma l’ipotesi che quelle poesie esprimano con un occulto simbolismo idee segrete di una setta.

I. LE POESIE DEI « FEDELI D'AMORE » SCRITTE PER UN GRUPPO CHIUSO. Anzitutto questi poeti amanti costituiscono un gruppo molto serrato di persone in rapporto tra loro. È indiscutibile che di questo loro amore, del quale pure sotto alcuni rispetti si mostrano così gelosi, parlano continua- mente, loquacemente tra loro, comunicandosi di continuo impressioni e senti- menti e soprattutto visioni con formule e parole che hanno, guardando alla superficie, una impressionante monotonta.

Moltissime delle poesie del « dolce stil novo » trattano d’amore, ma hanno un carattere espistolare, sono dirette a questo o a quello dei « Fedeli d’amore ».

Tutte le poesie più importanti, e specialmente le canzoni, sono licenziate con un monotono ammonimento di andare soltanto ai « fedeli d’amore », a quelli che « hanno intendimento », alla « gente cortese » e di fuggire invece la «gente villana », la « gente grossa » e simili. Dante nella Vita Nuova si lascia. sfuggire addirittura l’idea che un certo suo pensiero non sarebbe compren- sibile se non «a chi fosse în simile grado fedele d'amore » (1). Il codice che ri- porta la canzone di Francesco da Barberino Se più non raggia il sol, avverte nella rubrica : « Fece il Barberino questa composizione oscura trattante della natura d'Amore, perchè ella fosse solamente intesa da certi suor amici nobili huomini di Toscana » (2). È chiaro ?

(1) V. N., XIV, 14. (2) F. DA BARBERINO: / Documenti d'amore. Ed. Ubaldini, 1640.

28 CAPITOLO PRIMO

Questo fatto, che veramente non si è mai verificato presso gli altri inna- morati, i quali hanno sempre parlato o contemporaneamente a tutti o a nessuno, rimane strano se l’amore si debba intendere nel suo senso letterale, diviene invece naturalissimo se si supponga che queste poesie di finto . amore contenessero pensieri che dovevano e potevano essere intesi soltanto da un gruppo di iniziati, che di queste poesie possedevano appunto la chiave.

2. POESIE D'AMORE INCOMPRENSIBILI. Molte di queste poesie d’amore sono oggi ancora assolutamente incomprensibili per noi. Ma l’amore, l’amore per la donna, è stato sempre uno dei sentimenti più semplici e particolar- mente semplice sarebbe nel caso di questi « Fedeli d’amore », presso i quali esso si riduceva a pura adorazione, senza la ricerca o l’attesa di soddisfa- zioni materiali, senza gelosia, senza stanchezza. Eppure proprio da questo semplicissimo amore sarebbero state suggerite poesie nelle quali dopo sei se- coli di indagine non si capisce nulla e altre nelle quali, anche se s’intendano bene le frasi, ci sfugge evidentemente la vera anima, il vero fathos. Si rileg- gano ad esempio la canzone del Cavalcanti: Donna mi prega perch'io voglia dire o la canzone di Dante: Tre donne intorno al cor mi son venute, dove Amore parla dei suoi due dardi che sono «le armi da lui volute in pro’ del mondo », o la canzone : Se più non raggia del Barberino.

La critica tradizionale avanti a questo amore complicato, assurdo, inverosimile, se la cava dicendo : « Era la moda del tempo ». Aggiunge qual- che volta che era « il mistico e bizzarro gusto del tempo » (1), ma continua a credere che Guido Cavalcanti potesse dirigere veramente a una donna quel complesso di indovinelli e di acrobatismi verbali che è la canzone : Donna mi prega, e che veramente solo per seguire una moda, che avrebbe avuto qualche cosa di assai goffo, tutta questa gente volesse commuovere delle donne con quei gelidi dottrinarismi artefatti, dai quali lampeggia appena qua e qualche barlume di commozione vera.

L'oscurità di tali poesie e la loro costruzione quasi sempre artificiosis- sima si spiega assai meglio con l’ipotesi che in esse l’amore sia soltanto ap- parenza o pretesto e che si prendano dal linguaggio dell'amore vocaboli con- venzionali per esprimere cose ben diverse.

D'altra parte, che questi « Fedeli d’amore » dessero un significato voluta- mente segreto anche a poesie che a noi apparirebbero di senso limpidissimo e chiaro, si dimostra nettamente con questo esempio.

Giovanni Boccaccio (uno di questi « Fedeli d'amore »), alla fine della terza giornata del Decamerone, racconta che Lauretta cantò questa canzone:

Niuna sconsolata Da dolersi lia quant’io Chè ’n van sospiro, lassa | innamorata.

(1) FRATICELLI : La Vita Nova. Dissertazione. Firenze, Barbèra, 1882, p. 18

GLI STRANI AMORI DEI « FEDELI D'AMORE 20

Colui che muove il cielo et ogni stella, Mi fece a suo diletto Vaga, leggiadra, graziosa e bella. Per dar qua giù ad ogn’alto intelletto Alcun segno di quella Biltà, che sempre a lui sta nel cospetto Ft il mortal difetto, Come mal conosciuta, non mi gradisce, anzi m'ha dispregiata. Già fu chi m'’ebbe cara, e volentieri Giovinetta mi prese Nelle sue braccia, e dentro a’ suoi pensieri E de’ vaghi occhi miei s’accese. E ’1 tempo, che leggieri Sen vola, tutto in vagheggiarmi spese : Ft io, come cortese, Di me il feci degno ; Ma or ne son, dolente a me! privata. Femmisi innanzi pui presuntuoso Un giovinetto fiero, nobil reputando e valoroso. E presa tienmi, e con falso pensiero Divenuto è geloso ; Laond'’io, lassa! quasi mi dispero, Cognoscendo per vero, Per ben di molti al mondo Venuta, da uno essere occupata. Io maledico la mia isventura, Quando per mutar vesta, Sì, dissi mai; bella nella oscura Mi vidi già e lieta, dove in questa Io meno vita dura, Vie men che prima reputata omesta. O dolorosa festa, Morta foss’io avanti, Che io t'avessi in tal caso provata. O caro amante, del qual prima fui Più che altra contenta, Che or nel ciel se’ davanti a colui Che ne creò, deh pietoso diventa Di me, che per altrui Te obliar non posso : fa ch'io senta Che quella fiamma spenta Non sia, che per me t'arse, E costà su m’impetra la tornata.

Se in base alla semplice lettura di questa poesia d'amore io osassi affer- mare che essa aveva nel pensiero del Boccaccio un significato recondito e sublime e diversissimo da quello letterale, sarei deriso e trattato da pazzo. Mi par di sentire i critici « positivi » che griderebbero : « Ma che cosa ci può essere di re-

30 CAPITOI.O PRIMO

condito ? Questa è semplicemente una donna che rimpiange il suo primo amore e si lamenta del suo amante presente. Ecco (conosco il loro stile !) le aderra- zioni di questi fantasticatori, che farneticano cercando i simboli! Che cosa vi fa supporre in questa poesia questo secondo significato profondo ? ».

Adagio un poco signori! Il Boccaccio fa seguire questa canzone dal seguente commento :

«Qui fece fine Lauretta alla sua canzone, nella quale notata da tutti, di- versamente da diversi fu intesa : et ebbevi di quegli che intender vollono alla melanese, che fosse meglio un buon porco che una bella tosa. Altri furono di più sublime e migliore e più vero intelletto del quale al presente recitare non accade ».

Ecco dunque, signori critici « positivi », che in questa canzone, în apparenza così semplice e chiara, non solo vi è un significato più vero, ma esso è anche pit sublime e il poeta non lo vuole dire e si contenta di beffare ferocemente la « gente grossa » che non lo vede. Non è necessario aggiungere ai suoi scherni anche i nostri.

E di queste poesie, che a prima vista sembrano indiscutibilmente poesie d’amore semplicissime e che poi sono indiscutibilmente poesie mistiche o fi- losofiche, potrei citarne innumerevoli.

Ecco per esempio un frammento che nei manuali di letteratura (1) si trova sotto il semplice titolo di [unamoramento del Poeta in primavera e che ha tutta la scorrevolezza, tutta la ingenuità e la spontaneità di una poesia d’amore quasi popolare :

Al novel tempo e gaio del pascore, che fa le verdi fogli e’ fior venire, quando gli augelli fan versi d’amore, e l’aria fresca comincia a schiarire le pratora son piene di verdore e li verzier cominciano ad aulire, quando son dilettose le fiumane,

e son chiare surgenti le fontane, e la gente comincia a risbaldire ;

Che per lo gran dolzor del tempo gaio sotto le ombre danzan le garzette ; nei bei mesi di aprile e di maio la gente fa di fior le ghirlandette ; do:nzelli e cavaler d'alto paraio cantan d'amor novelle e canzonette ; cominciano a gioire li amadori,

e fanno dolzi danze i sonadori, e sono aulenti rose e violette ;

Fd io stando presso a una fiumana in un verzere all'ombra d’un bel pino, aveavi d'acqua viva una fontana intorneata di fior gelsomino ;

(1) Come quello del D’Ancona e Bacci, vol, I, 1906, pag. 256.

GLI STRANI AMORI DEI « FEDELI D'AMORE » 3I

sentia l’aire soave e tramontana;

udia cantar gli augei in lor latino ;

allor sentio venir dal fin’Amore

un raggio che passò dentro dal core,

come la luce ch’appare al mattino. Discese nel mio cor siccome manna

amor soave, come in fior rugiada,

che m'è più dolze assai che mel di canna,

d'esso non parto mai dovunque vada,

e vo’li sempre mai gridare usanna,

Amore eccelso, ben fa chi te lauda |!

Assavora’lo quando innamorai :

neente sanza lui fui fie mai,

sanza lui non vo’ che mio cor gauda. E non si può d’Amor proprio parlare

a chi non prova i suoi dolzi savori ;

e sanza prova non sen può stimare,

più che lo cieco nato dei colori ;

e non pote mai nessuno mai amare

se non li fa di grazia servidori;

che lo primo pensier che nel cor sona

non vi saria, s'.Amor prima no’l dona ;

prima fa i cor gentil che vi dimori.

Dove volete trovare versi più spontanei, immagini di amore più fresche, più semplici ? Se io dicessi che tutto questo è simbolico e che si parla di un amore che non riguarda affatto una donna, gli uomini di spirito e quelli che sentono veramente la poesia (dicono loro) e i lirici puri mi darebbero naturalmente del fantasticatore e del barbaro. Possono risparmiarsi i loro giudizi avventati. Questo è semplicemente il principio della Intelligenza di Dino Compagni. Questo amore come ci dirà poco dopo il Poeta è l’amore per

L’amorosa Madonna Intelligenza che fa nell’alma la sua residenza che co la sua bieltà m'ha ’nnamorato! (1)

E vedremo che essa è descritta con tali particolari nel suo aspetto fen- minile da fare invidia a monna Vanna e a monna Bice!

Dunque chi vuol intendere sul serio questa poesia non si lasci frastor- nare dalle chiacchiere di chi pretende di sentire l'immediatezza, di sentire la spontaneità, di sentire 1l lirismo puro, di sentire la vera passione, perchè tratti di lirismo puro anche lunghissimi se ne possono trovare quanti si vuole in Poesie indubitatamente simboliche e si possono trovare intere poesie simboliche che sembrano a chiunque liriche d’amore vero, ma se si voglia intenderle Per pure liriche d’amore c'è pericolo di intenderle, come diceva il Boccaccio, “alla melanese ».

(1) L’Intelligenza, a cura di Raffaello Piccoli. Lanciano, 19II, pag. 195.

»

32 CAPITOLO PRIMO

Facciamo piuttosto questa considerazione : se un pensiero simbolico si cela sotto poesie di questi « Fedeli d'amore » apparentemente così ingente come questa, che cosa dobbiamo pensare delle innumerevoli altre uscite da quello stessissimo ambiente, nelle quali i pensieri d’amore si mescolano, si intrecciano, si confondono (come non è mai avvenuto nella vera poesia di amore) con una quantità di idee filosofiche religiose e persino politiche ?

Che cosa dobbiamo pensare, ripeto, della famosa canzone di Guido Ca- valcanti: Donna mi prega, una selva di espressioni artificiose e contorte in- torno all'amore che sembrano veramente dei rompicapi? Che cosa dob- biamo pensare delle canzoni di Dante per la donna Pietra, della sua canzone : Tre donne intorno al cor mi son venute tutte piene di oscurità, di stranezze incomprensibili, di allusioni velate e di simboli, che vogliono sembrare tutte poesie d’amore o sull'amore ?

E che cosa dobbiamo pensare di quello stranissimo « Amore » di cui ci parla nel suo complicatissimo volume : I Documenti d'amore Francesco da Bar- berino, descrivendo come donne amate delle inverosimili donne che, come vedremo, hanno le qualità più strampalate ? E che cosa dobbiamo pensare di quella misteriosa donna, tanto somigliante a Beatrice, che è il personaggio centrale e principalissimo della misteriosa Acerba di Cecco d’Ascoli ?

Per adesso sarebbe per lo meno serio il pensare che sotto a queste poesie e sotto a questo Amore c’è qualche cosa di non ancora ben compreso.

3. POESIE RICONOSCIUTE COME SCRITTE IN GERGO oscuro. Ma c'è di più. Vi sono alcune poesie di questi poeti del « dolce stil novo » o dei poeti d’amore in genere, le quali si rivelano a chiunque e indubitabilmente come scritte in gergo. Esse sono incomprensibili, non già perchè trattino dell’amore in formaalta o arduao dottrinale, ma perchè evidentemente in esse /e parole hanno un significato convenzionale diverso da quello che esse hanno comu- nemente, e noto al destinatario 0 ai destinatari della poesia.

Eccone un esempio tipico : una poesia di Cino da Pistoia che non è altro, in apparenza, se non il racconto di certe vicende di viaggio occorse al poeta e delle quali egli informa il destinatario della poesia stessa, in modo però che nessuno ha capito mai nulla della poesia. I critici onesti, anche se appartenenti alla tradizione e perfettamente ignari delle teorie del Rossetti, la dichiarano incomprensibile, come parecchie altre dello stesso tipo.

Perchè voi state, forse, ancor pensivo d’udir nuova di me, poscia ch'io corsi su quest’antica montagna de gli orsi, de l'esser di mio stato ora vi scrivo : già così mi percosse un raggio vivo (?) che ’1 mio camino a veder follîa (?) torsi; e per mia sete temperare a sorsi, chiar acqua visitai di blando rivo : (?)

GLI STRANI AMORI DEI « FEDELI D'AMORE » 33

ancor, per divenir sommo gemmieri (?) nel /apidato ho messo ogni mio intento, (?) interponendo varj desideri. ora ’n su questo monte tira vento ; (?) ond’io studio nel libro di Gualtieri, per trarne vero e nuovo intendimento (?) (1).

Credo che non vi sia interprete realistico o tradizionalista così ottuso da poter credere sul serio che in questo sonetto le parole abbiano il loro si- gnificato ordinario e che Cino da Pistoia abbia cambiato strada perchè per- cosso da un «raggio di sole » o perchè ha incontrato « follia » o per andare . a Visitare una « fontanella » che non si sa che cosa sia, o che volesse diven- tare sul serio «sommo gemmieri » e soprattutto che studiasse il «libro di Gualtieri » fer l'ottima ragione che su quel monte tirava vento !

Basterebbe questo esempio per dimostrare a chiunque abbia un poco di intelletto che tra 1 poeti del «dolce stil novo » il gergo segreto esisteva, non solo, ma che costoro avevano anche una qualche ragione e abbastanza seria e abbastanza grave per comunicare così tra loro in rapporto ai propri movimenti, alle proprie intenzioni e alle proprie vicende. Questo Cino che scrive così non è uno sciocco che potesse perder tempo a scrivere in gergo come potrebbero fare dei ragazzi; è un dotto e grave maestro che ha in- segnato in tutti i maggiori Studi d’Italia. I suoi compagni, con i quali scambia sonetti di questo genere, sono uomini come Dante Alighieri, come Guido Cavalcanti o Cecco d'’Ascoli. È assolutamente non serio il pensare che tutti costoro facessero «la burla » di scrivere esponendo idee involutis- sime e comprensibili soltanto ad alcuni e comunicando in un gergo conven- zionale che non avrebbe dovuto nascondere nulla di importante.

E questo convenzionalismo, questo indiscutibile doppio senso investe in pieno anche poesie nelle quali si parla della « donna mia », come per esem- pio quella famosa di Guido Cavalcanti che comincia: Veggio ne gli occhi della donna mia. A questa donna «sua» accade infatti qualche cosa che dav- vero non è mai accaduto alle donne «nostre », cioè che dalle sue labbia (dal suo aspetto o dalle sue labbra che sia) ne nasce un'altra e poi un'altra e da quest’ultima una stella che annunzia la salute ! L’intonazione, lo spunto iniziale di questa poesia è proprio nel comunissimo tono di quella che si pre- tende sia vera poesia d'amore per donne di carne e ossa e scorre con una dolcissima armonia :

Veggio ne gli occhi de la donna mia un lume pien di spiriti d'amore che porta uno piacer novo nel core sì, che vi desta d’allegrezza vita;

(1) CINO DA PISTOIA : Rime, a cura di D. Fiodo. Carabba, 1913, pag. 143.

3 VALLI.

34 CAPITOI,O PRIMO

e dopo quel principio di lirica pura si ha questo curiosissimo fenomeno di produzione ectoplasmatica che segue :

Cosa m’avien quand’i’ le son presente ch’i' no la posso a ’ntelletto dire : veder mi par da la sua labbia uscire una bella donna, che la mente comprender no la può ; che “nmantenente ne nasce un'altra di bellezza nova da la qual pay ch’ una stella mova e dica : La salute tua è apparita... (1)

In questa poesia il Cavalcanti parla della « donna mia » e mi pare che non ci sia nessun dubbio che qui non st tratta di una donna di carne e di ossa.

Ciò vuol dire a buon conto che i nostri avversari, che interpretano rea- listicamente la poesia del « dolce stil novo », non possono negare che qualche volta questi poeti parlavano in un linguaggio convenzionale, nel quale la donna non era miente affatto una donna. Chi volesse negare in modo asso- luto la esistenza di un linguaggio convenzionale nella poesia di questi dicitori per rima, direbbe una evidentissima e grossolana sciocchezza.

La loro tesi per essere seria e degna di considerazione deve limitarsi ad affermare che questi poeti scrivevano due diverse specie di poesie, le une in un linguaggio convenzionale ove dicendo «la donna mia » non si inten- deva parlare di una donna, ed altre invece in un linguaggio aperto come espressione limpida e diretta del loro amore per una femina.

Ma con questo si è già fatto un passo notevole. Discutendo tra per- sone serie si trova da una parte l’idea che alcune poesie siano in gergo ed altre no, dall'altra l’idea che tutte queste poesie siano di regola in gergo. E questa ultima è la mia tesi e dico subito qual'è uno degli argomenti fon- damentali che me la fanno proporre.

Se alcune poesie fossero in gergo e le altre no, noi dovremmo avere due classi di poesie chiaramente distinte e differenziabili a prima vista : una classe di poesie tutte limpide, tutte chiare che non ci dovrebbero lasciare nessun sospetto di doppio senso, e una classe di poesie oscure, involute, impacciate.

Ebbene queste due classi nettamente distinte di poesie non esistono affatto e nella massa di queste poesie si passa da alcune (poche) apparente- mente chiarissime a quelle assolutamente incomprensibili attraverso gradi innu- merevoli di diversa comprensibilità e oscurità. Vi è un numero enormedi poesie in alcune parti comprensibili e scorrevoli e in altre parti oscure e involute.

Ho già citato la poesia di Guido Cavalcanti: Veggio negli occhi, nella quale i primi sei versi sembrano di limpidissima poesia d’amore e poi balza fuori l'evidente simbolismo convenzionale delle donne uscenti l’una dall’altra.

Ebbene queste poesie depongono assai potentemente per la tesi che

(1) GUIDO CAVALCANTI : Le Rime, a cura di E. Rivalta. Zanichelli, 1902, pag. 156.

fi lenili. ——r_—— P— -

GLI STRANI AMORI DEI « FEDELI D'AMORE » 35

tutte le poesie siano di regola scritte in gergo. Infatti non è comprensibile che chi scrive con l'intenzione di scrivere apertamente getti in mezzo ad una poesia ingenua delle strofe in gergo : mentre è invece comprensibilis- simo che chi scrive in gergo, con l'intenzione di dare al suo discorso un significato esteriore plausibile, una apparenza verosimile di poesia d’amore, a volte riesca a darlo a volte non riesca, e riesca in una strofa e non rie- sca nell’altra e quindi finisca col mescolare poesie chiare (nelle quali il senso esteriore regge) con poesie oscure (nelle quali il gergo non riesce a trovare una limpida veste esteriore) e nella stessa poesia strofe chiare con strofe oscure e versi chiari, limpidi, armoniosi con versi oscuri contorti, brutti.

In altri termini tutto si spiega se si supponga che le poesie chiare siano delle poesie in gergo ben riuscite (come quella sopra citata di Lauretta e come, ad esempio, la famosa: Tanto gentile e tanto onesta pare), mentre in- vece le poesie oscure, complicate, mal comprensibili, siano poesie nelle quali il senso profondo che era nella mente del Poeta non è riuscito a trovare una simbologia esterna logica e limpida.

4. L’« ENIGMA FORTE » DELLA « POESIA D'AMORE ». La oscurità, la com- plicazione e la frequente incomprensibilità della poesia dei « Fedeli d’amore » sono così evidenti che non sono sfuggite a nessuno di coloro che se ne sono. occupati, ma la nostra critica ufficiale ha affrontato il problema di questa oscurità con degli stranissimi preconcetti e con incredibile impreparazione. Il D'Ancona e il Comparetti ad esempio, ai quali pur tanto dobbiamo per la conoscenza dei primi secoli della nostra letteratura, nella prefazione alla edizione delle Antiche Rime Volgari riconoscevano che sotto di esse c’è un «enigma forte » ancora insoluto e che ci si trova avanti a un gergo, ma cre- devano di poter affermare che questo gergo deve essere un gergo letterario e non un gergo settario.

Ed ecco con quale argomento : « L’impulso stesso del poetare venuto «dall’alto per signorile perfezione di costume, e il luogo dove ebbe origine «la novella usanza, che fu la Corte, fecer che il primo tentativo di rima «volgare fosse in Italia un composto assai strano, punto spontaneo anzi «molto artificioso, di metafisica cavalleresca e di sottile ed ardua dizione. «Ond’è che le Rime antiche quand’anche potesse avverarsene la lezione «genuina resterebbero tuttavia, come già sono, in molti luoghi oscure e «quasi indecifrabili, non possedendo più noi moderni quel segreto che le faceva «intelligibili ai fedeli d'amore iniziati dallo studio e dall’uso a codesta parti- «colar forma di sentimenti e di stile. Perciò laddove Gabriele Rossetti volle ve- «dere un gergo settario di politico significato, null'altro sta nascosto, a parer «nostro, se non un gergo meramente letterario » (I).

(I) Le Antiche Rime Volgari secondo la lezione del Codice Vaticano 3793. Bo- logna, Romagnoli, 1875, vol. I, pag. XIV.

36 CAPITOLO PRIMO

È necessario che io mi soffermi un momento su questo periodo di prosa critica, perchè esso è massimamente istruttivo. Da esso si ricava in- fatti:

1) Che il Comparetti e il D'Ancona sentivano e riconoscevano, come è naturale, il mistero che c’è sotto questa poesia d’amore, quello cioè che poche righe dopo chiameranno essi stessi l'enigma forte della poesia d'amore.

2) Che, riconoscendo la presenza di un gergo sotto la poesia d’amore e senza averlo decifrato, credevano di poter senz'altro dichiarare che questo gergo doveva essere un gergo meramente letterario e ciò unicamente perchè la poesia italiana era nata « per impulso dall’alto e in una corte », quasichè nelle corti non potesse nascere anche un gergo di carattere ben diverso da quello letterario.

Basta anzi pensare quale corte fu quella nella quale nacque la poesia d’amore italiana, la corte di Federico II, fervente di pensiero mistico e filosofico e di lotte religiose, perchè appaia subito estremamente inverosimile che il gergo che essa contiene sia meramente letterario.

3) Che il D'Ancona e il Comparetti gettano questa frase : gergo meramente letterario senza spiegare niente affatto che cosa significhi un gergo meramente letterario. Parrebbe che per loro si trattasse addirittura di qualche cosa di simile a un giuoco di società, un giuoco di società però che era giuo- cato da tutti uomini, come Federico II, Guido Guinizelli, Guido Cavalcanti, Dante, Francesco da Barberino, Cecco d’Ascoli; uomini cioè che contempo- raneamente giuocavano ben altri giuochi e più seri nel campo della vita po- litica, filosofica e religiosa. Il supporre che tutti costoro abbiano mescolato e intrecciato alla loro tragica attività politica e religiosa il loro amore, ma le- gando questo a un gergo insulso, a una specie di passatempo, è semplice- mente assurdo. Di gergo letterario si può parlare tra gli abatini dell’Arcadia, non tra uomini dello stampo di quelli che ho ricordato sopra.

4) Che i due illustri critici parlano di gergo letterario, il quale dovrebbe almeno avere una giustificazione nella grazia artistica dei suoi resultati, mentre nella poesia citata di Cino da Pistoia e in tante altre simili dove l’esistenza del gergo è evidentissima, esso corrompe completamente tutto l'elemento estetico della poesia, la quale risulta una cosa indiscutibilmente brutta proprio per la palese presenza del gergo e nella quale quindi è evi- dente che il gergo ha una ragion d'essere non letteraria, non artistica, ma di ben altra natura.

5) Che il D'Ancona e il Comparetti (e questa è la constatazione più grave) giudicano l’idea del Rossetti senza averne nessuna conoscenza seria. Infatti essi si sono fermati evidentemente alla frima tesi del Rossetti che chia- mava il gergo dei « Fedeli d'amore » un gergo politico di essenza ghibellina. Debbo ritenere che i due illustri filologi (come la enorme maggioranza dei filo- logi) non conoscessero affatto il « Mistero dell’ amor platonico » del Rossetti ove quella prima tesi era praticamente, se non esplicitamente, superata e

GLI STRANI AMORI DEI « FEDELI D'AMORE > 37

il gergo dei « Fedeli d’amore » appariva con molto maggiore verosimiglianza come un gergo di natura mistica e direi misteriosofica, derivante niente di meno che dalle occulte correnti del pitagorismo... E il dire che il Rossetti vedeva sotto la poesia d'amore un gergo mistico avrebbe immediatamente colpito per la sua grande verosimiglianza il lettore spregiudicato. Ed abbiamo qui una prova del fatto che la critica « positiva » (tanto « positiva » da non aver mai preso in esame i cinque volumi del Mistero dell’Amor platonico !) ha trasmesso dall’uno all’altro critico i/lustre i primi giudizi avventatissimi e sommari che furono pronunziati sulle prime e meno felici opere del Rossetti, ritenendosi dispensata dal conoscere le altre !

6) Il D'Ancona e il Comparetti parlano di un gergo letterario senza accorgersi neanche che tutti questi poeti d’amore non appena cominciano a teorizzare un poco sull’arte, la prima cosa che fanno è di mettere in guar- dia il lettore intorno ai frofondi e molteplici sensi delle scritture, intorno alle profondissime cose che dicono i poeti anche quando sembra che dicano cose leggere. Si ripensi al Convivio di Dante, alle disquisizioni intorno alla poesia ed ai suoi sensi profondi che il Boccaccio fa proprio a proposito di Dante (1). É questa gente avrebbe usato un gergo « meramente letterario » ?

7) Non solo, ma non si accorgono del fatto che questa poesia che se- condo loro sarebbe oscura, solo perchè sorta nel convenzionalismo di una corte, viceversa più si allontana dalla corte e fiw diventa oscura. Il Cavalcanti, Dante e il Barberino son ben più oscuri di Federico II, e basterebbe questo per far certi che la spiegazione dei due filologi è assolutamente inconsistente.

Il Comparetti e il D'Ancona continuano così : « Non sarà difficile rico- «struire la forma dei pensieri e degli affetti propri alla scuola cortigiana e «cavalleresca e già qualche cosa si è fatto in proposito; ma più arduo ci «sembra, e quasi da niuno tentato sinora, lo scoprire e determinare la signi- «ficazione speciale che si dette a certe frasi e parole, la ragione di alcune biz- «zarre composizioni ritmiche, 11 valore di talune forme, allegorie, metafore, «immagini divenute quasi sacramentali in cotesta scuola. E sarà soltanto con «una ricerca accurata e paziente per tutto il vasto campo degli antichi ri- «matori, radunando molti esempi e insieme illustrandoli l’un con l’altro che «si potrà in parte sciogliere questo enigma forte componendo per tale modo «una propria poetica della maniera cortigiana ».

Come si vede, i due illustri uomini riconoscevano perfettamente che

(1) Il Boccaccio nella Vita di Dante ha una lunga disquisizione sulla sentenzia « Che la poesia è simigliante alla teologia ». E scrive ancora: « Dicono... che i poeti son scimie dei filosofi. Se abbastanza intendessero i versi de’ poeti si accorgerebbero che non scimie dei filosofi ma filosofi veri sono essi, non essendo da loro nessun’altra cosa nascosta sotto velame poetico che conforme alla filosofia. Il filosofo con sillogismi riprova quello che stima non vero ed approva quello che intende esser vero. E il poeta quel vero che con l'immaginazione ha concepito levati tutti i sillogismi quanto più ar- tificialmente può sotto velame di finzione nasconde ».

38 CAPITOLO PRIMO

bisognava ancora scoprire la significazione speciale di certe frasi e parole e il valore di alcune allegorie, ma non si accorgevano che, se per esempio la donna amata in quelle formule divenute come ben dicevano quasi sacramentali, avesse significato «Sapienza », come significa certamente : 1) nella Divina Commedia, 2) nel Cantico dei Cantici, 3) nella Sapienza di Salomone, 4) nel Contra Faustum di S. Agostino, 5) nella Intelligenza di Dino Compagni, ecc., e l'Amore in corrispondenza di ciò avesse significato amor sapientiae, tutto il significato vero delle poesie ne sarebbe stato com- pletamente trasformato.

Che potessero esservi significati segreti di questa importanza i due il- lustri uomini lo negavano puramente e semplicemente escludendo senza esame, e senza neppure vera conoscenza, la teoria del Rossetti |

5. LA POESIA D'AMORE E IL SUO « VERACE INTENDIMENTO ». Ho già accennato al fatto che questi poeti d’amore non appena cominciano a co- struire qualche teoria sulla loro arte, avvertono sempre con gran cura che la poesia è più profonda di quel che non sembri a prima vista, che le scrit- ture hanno sensi molteplici, che i poeti sono «teologi» e simili. Questa allusione ad un frofondo intendimento della poesia, diverso da quello che appare alla superfice, si trova già nella Vita Nuova.

Dante nella Vita Nuova a proposito della personificazione che egli ha fatto di Amore dice due cose molto importanti : 1) Egli parla «contra coloro che rimano sopra altra materia che amorosa » ; 2) Immediatamente dopo dice che i poeti (antichi) hanno parlato « a le cose inanimate siccome se avessero senso «e ragione e fattele parlare insieme ; e non solamente cose vere, ma cose non «vere... degno è lo dicitore per rima di fare lo somigliante ma non sanza «ragione alcuna, ma con ragione la quale por sia possibile d'aprire per prosa ». E aggiunge : «e acciò che non ne pigli alcuna baldanza persona grossa, dico «che l poete parlavano così sanza ragione, quelli che rimano deono «parlare così non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono ; « però che grande vergogna sarebbe a colui che rimasse cose sotto veste di « figura o di colore rettorico e poscia, domandato, non sapesse denudare le sue « parole da cotale vesta, in guisa che avessero verace intendimento. E que- «sto mio primo amico e io ne sapemo bene di quelli che così rimano stol- «tamente... » (I).

Ora quando Dante parla qui della «ragione » per la quale i poeti usano le immagini, quando dice che la poesia (che deve essere di materia amorosa) deve avere un verace intendimento, quando deride coloro che scrivono senza avere questo verace intendimento, di che cosa parla, del senso letterale della poesia d’amore o di un suo significato più profondo ?

Il Perez ha magnificamente dimostrato (2) che «rimare di materia amo-

(1) Vita Nuova, XXV. (2) Beatrice svelata, pag. 70.

GLI STRANI AMORI DEI « FEDELI D'AMORE » 39

rosa » si deve intendere secondo la terminologia scolastica e secondo la di- stinzione scolastica di materia e di forma. In questo senso « rimare di materia amorosa » non vuol dire niente affatto parlare di amore, ma (poichè materia è l'opposto di forma e vuol dire appunto ciò che prende forma per dare esi- stenza a qualche cosa), l’amore non è affatto il pensiero vero della poesia appunto perchè ne è la materia diremmo noi il materiale grezzo con 1l quale 0 vestendosi del quale la poesia riesce ad esprimere il suo vero e brofondo essenziale pensiero, che è cosa tutta diversa dall'amore.

Nella Scolastica la materia è il corpo e l’anima è forma e così Dante in- tendeva che la materia amorosa è il corpo esterno della poesia. Lanima della poesia è cosa completamente diversa. L'anima della poesia è proprio quella tale ragione per la quale i poeti adoperavano quelle tali immagini e figure ; l’anima della poesia è quel verace intendimento che si può, quando st vuole, aprire per prosa.

È estremamente ingenua l’interpretazione di coloro che credono in quel passo Dante abbia perso tempo a parlare del senso letterale della poesia d’amore e a giustificarla dal fatto di adoperare delle personificazioni che avrebbero avuto un senso semplicemente letterale. Ma che bisogno c’era di questa giustificazione ? Ma l’Amore non era personificato come figura retto- rica già da secoli e non era una immagine comunissima quella dell’amore personificato ? E come Dante avrebbe perso tempo a soffermarsi su coloro che rimano senza un verace intendimento se questo verace intendimento fosse stato soltanto il senso letterale della poesia d'amore ? Metteva conto di par- lare, sia pure per dar loro degli sfolti, di gente che avesse scritto senza dare alle sue poesie un senso letterale ?_ Cioè che avesse scritto una serie di parole senza senso ?

No, Dante e il suo amico Cavalcanti ridevano evidentemente di ben altri stolti, degli stolti cioè che non sapendo che la poesia d’amore aveva un verace intendimento quantunque adoperasse una « materia amorosa », imitavano le forme poetiche dei « Fedeli d'amore » senza dar ad esse il profondo pen- siero simbolico e iniziatico, cioè il loro verace intendimento, scrivevano facendo delle figure rettoriche senza ragione alcuna, cioè senza quelle ragioni che in- vece animavano profondamente la poesia amorosa di Dante e di Guido.

L'ingenuità della critica realistica suppone che le spiegazioni che lar- gisce Dante nella prosa della Vita Nuova siano proprio le spiegazioni di quel verace intendimento delle poesie. Non si accorge che quel commento è fatto per offrire maggiori spiegazioni a chi già sa, e confondere sempre più le idee di chi non deve sapere. Bel commento in verità quello nel quale il commentatore di se stesso ad un certo punto dichiara che quello che egli dice «è impossibile a solvere a chi non fosse in simil grado fedele d'amore » e gli altri non importa che capiscano (1); e dove si tronca a un certo punto

(1) V. N., XIV, 14.

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il discorso sul significato di una canzone dicendo «70 già temo di avere a troppi comunicato il significato di questa canzone»! (1).

6. GLI OSCURI RAPPORTI PERSONALI TRA I POETI. Moltissime di queste poesie, lungi dal raffigurare l’ambiente dei poeti d’amore quale do- vrebbe essere se fossero veramente e semplicemente degli innamorati, ce li dipingono nella maniera più netta come persone legate da una forma di so- lidarietà e di gerarchia. C'è tra essi evidentemente qualcuno che ha autorità sugli altri e questo qualcuno è evidentemente per non breve tempo Guido Cavalcanti.

Sono persone che si interessano dell'amore del vicino, della sua siîn- cerità, della sua fedeltà in amore, molto più di quanto non si faccia di solito e molto diversamente da come farebbero dei semplici pettegoli.

C'è un sonetto di Guido Cavalcanti nel quale egli incarica formalmente Dante di indagare se Lapo Gianni sia veramente innamorato o se finga e da tutto il sonetto spira il senso chiarissimo di un discorso fatto entro un determinato gruppo e nell'interesse del gruppo.

Se vedi Amore, assai ti priego, Dante, in parte ’ve Lapo sia presente, che non ti gravi di por si la mente che mi riscrivi s'e’ lo chiama amante, e se la donna li sembla avenante che si le mostr’avvinto fortemente ; chè molte fiate così fatta vente suol per gravezza d'amor far sembiante.

Tu sai che ne la corte ’ve vegna non vi può servir omo che sta vile (2) a donna che entro sia renduta,

Se la soffrenza lo servente aiuta, può di leggier cognoscer mostro stile (3) lo quale porta di merzede insegna (4).

Se il capo riconosciuto di una organizzazione segreta dovesse incaricare un adepto di vigilare e di riferire sulla fedeltà e sulla sincerità di un altro adepto non userebbe parole diverse da queste.

Certo fra innamorati ver: non c'è mai stato l’uso di occuparsi così sfac- ciatamente e ridicolmente dei fatti altrui e tanto meno questo metodo sta-

(1) V. N., XIX. :

(2) Sarebbe stato vile Lapo se non avesse trovato avvenente la donna? Wile sì, perchè vile significa estraneo alla setta.

(3) Mi permetto di scrivere stile e non sîre, come il testo critico della Società Dantesca, perchè la lezione esiste ed ha per il fatto che sire non rima con vile.

(4) DANTE : Opere. Testo critico della Società Dantesca Italiana. Firenze, Bemporad, 192I, pag. 74.

GLI STRANI AMORI DEI « FEDELI D'AMORE » 4I

rebbe a posto se si trattasse veramente di quell'amore proprio di questi poeti del « dolce stil novo » e che richiede sempre la più delicata discre- zione. Nel fatto la discrezione esso la esige sì, ma soltanto nei rapporti della «gente grossa », cioè di quelli che erano fuori della setta, tanto che Dante chiama addirittura malvagio il domandare che certuni gli facevano del suo amore (I); ma nei rapporti dei « Fedeli d’amore » tra loro, questo amore è autoritario e inquisitoriale. Questa ingerenza negli amori degli altri arriva a degli strani parossismi. Non solo abbiamo una grande e solenne ramanzina di Dante a Cino da Pistoia, perchè si dice che egli non sia molto fermo in amare (fedele alla setta) e contro Cino si scagliano a un certo punto da ogni parte i « Fedeli d’amore » per certe sue infedeltà, ma c’è un sonetto di Dante (e poco importa se è invece di un suo amico) che ci fa veramente strabi- liare e che mi pare impossibile che i critici, per quanto $os:tv1, abbiano po- tuto credere che parli veramente dell’amore. Il poeta in forme alquanto oscure esulta insieme ad Amore, a monna Lagia e a Guido, perchè, in se- guito a qualche cosa di cui si è accorto Amore, la donna saggia (Lagia ?) ha ritolto il cuore a qualcuno (Lapo ?), per il che dovrebbe essere lodato anche Guido e anche il poeta stesso.

Amore e monna Lagia e Guido ed io possiamo ringraziare un ser costui che n’ ha partiti, sapete da cui? Nol vo’ contar per averlo in oblio; poi questi tre più non v’hanno disio, ch’eran serventi di tal guisa in lui, che veramente più di lor non fui imaginando ch'elli fosse iddio.

Sia ringraziato Amor, che se n’accorse primeramente ; poi la donna saggia, che ’n quello punto l ritolse il core ; e Guido ancor, che n'è del tutto fore ; ed io ancor, che ’n sua vertute caggia se poi mi piacque nol se crede forse (2).

Che cosa aspetta la critica « positiva » ? Aspetta un documento pubblico . steso per mano di notaro che le attesti l’esistenza di una setta segreta ? Po- trà seguitare a dire che qui si tratta di amore sul serio o di un gergo lettera- 710 ? Io, con documenti o senza, sento con perfetta sicurezza (e credo che lo sentirà qualunque lettore spregiudicato) che questo è un linguaggio settario pieno di sottintesi noti e comprensibili solo a un gruppo di amici e che il poeta esulta per la cacciata di qualche indegno da un gruppo del quale egli fa parte. La setta (Amore), Monna Lagia (quella che nella setta sim- boleggiava per Lapo la Sapienza), Guido (il capo della setta), esultano

(1) V. N., IV. (2) DANTE: Of., pag. 123.

42 CAPITOLO PRIMO

tutti insieme per questa radiazione, avvenuta per il fatto che Amore (la setta) si è accorto di qualche cosa di grave. Ci sfuggono come è naturale i par- ticolari del fatto, che sono evidentemente sottintesi e dovevano essere noti ai « Fedeli d'amore » ; ma il tono e il complesso delle idee esclude avanti al senso comune che qui si parli dell'amore nel senso letterale, e la indifendibile bruttezza del sonetto esclude che si siano voluti cercare effetti letterari.

Guido che qui si incarica così direttamente dell’amore degli altri, è del resto stranamente implicato nell'amore di tutti quasi i suoi colleghi, tanto che la critica « positiva » non sapendosi spiegare questa sua continua inge- renza ha finito con l’appiccicargli delle non onorevoli funzioni di interme- diario, di paraninfo o peggio !

Questo Guido è colui che inizia Dante nell’amoroso cammino, colui a cui Dante stesso dedica la Vita Nuova. Da tutte le parti d’Italia, da Pisa, da Bologna, poeti d’amore scrivono a lui parlando di diversissime donne. Egli parte d’Italia e va a innamorarsi di una giovane donna proprio (o mira- bile caso !) in quel gran covo di eretici che era Tolosa e trova (o mirabile caso !) che somiglia perfettamente a quella che egli ha lasciato a Firenze! Lapo Gianni gli manda a dire che una giovane di Pisa dovrebbe arrivare di nascosto da lui e vuole essere protetta. Guido risponde che venga pure, che metterà buona guardia, e tutto questo in versi! Egli è evidentemente per alcuni anni il centro di tutto questo movimento, diciamo chiaramente il capo della setta. E tutte queste strane donne delle quali si interessa in ogni parte d’Italia e fuori e che si interessano di lui sono altrettanti gruppi settari, che a lui fanno capo e sono in rapporto con lui. Gianni Alfani manda la sua Ballatetta dolente alla donna e aggiunge:

Poi fa ch'entri nella mente a Guido perchè egli è sol colui che vede amore (1).

Parole che sarebbero assai ridicole se si trattasse di amore vero, chè la poesia sarebbe indirizzata insieme alla propria donna e a uno dei più ter- ribili Don Giovanni dell’epoca, che non si sa proprio che cosa c'entri!

Esiste un'altra coppia di sonetti molto istruttiva per dimostrare la com- pagine dei « Fedeli d’amore ». Nell’uno di essi un ignoto scrive a Dante appellandosi a lui contro una donna che lo ha incolpato, parola cha può suo- nare accusato come ferito con colpi, e quantunque nella seconda parte del so- netto questo «incolpato » venga a essere confuso con la parola « conquiso », sta di fatto che l'anonimo chiama in aiuto Dante contro una donna come se questa lo avesse accusato e descrive i connotati della donna in maniera così generica che evidentemente Dante doveva già sapere di quale donna si trat- tava. E non si trattava di una donna, ma della setta, perchè non è mai usato, nemmeno negli ambienti della malavita, di chiamare un altro uomo a

(1) G. ALFANI: /time, a cura del prof. Ernesto Lamma. Lanciano, 1912, pag. 85.

di li nti | i _____ n ISS e I

GLI STRANI AMORI DEI « FEDELI D'AMORE » 43

far vendetta della propria donna, mentre invece è perfettamente naturale che un amico «di debile affare » come si chiama l’anonimo, cioè un adepto di basso grado, accusato presso la setta, si sia richiamato alla testimonianza o all'appoggio di Dante. E la risposta di Dante conferma pienamente tale ipotesi.

Ecco il sonetto :

Dante Alleghier, d'ogni senno pregiato che ’n corpo d’om si potesse trovare, un tuo amico di debile affare da la tua parte s’era richiamato a una donna che l’ha incolpato con fini spade di sottil tagliare, che in nulla guisa ne pensa scampare, però che’ colpi han già il cor toccato.

Onde a te cade farne alta vendetta di quella che l’ha forte conquiso, che null’altra mai non se ne inframetta. Delle sue condizioni io vi diviso, ch’ell’è una leggiadra giovinetta cle porta propiamente Amor nel viso (I).

La risposta di Dante, con grande scorno della « lirica pura », ha proprio tutto il carattere e il contenuto di una lettera d’affari. Il suo sonetto suona così : « Ti rispondo in fretta. Mi dispiace molto del tuo caso ma io proprio «non mi ricordo che tu ti sia mai appellato a me. Certo io non avrei «mancato di mandare una lettera (alla setta) in favore tuo. Il tuo caso «deve essere grave, ma io non posso dare per quel che so ora nessuna colpa «alla setta ».

Io Dante a te che m'hai così chiamato rispondo brieve con poco pensare, però che più non posso soprastare, tanto m’ha "1 tuo pensier forte affannato. Ma ben vorrei saper dove e in qual lato ti richiamasti, per me ricordare : forse che per mia lettera mandare saresti d’ogni colpo risanato.

Ma s'ella è donna che porti anco vetta, si ’n ogni parte mi pare esser fiso ch’ella verrà a farti gran disdetta. Secondo detto m’hai ora, m’avviso che ella è d’ogni peccato netta come angelo che stia in paradiso (2).

Ia fretta ha veramente tradito questa volta il grande maestro degli artifici. Dovremmo credere, che cosa ? Che egli mandasse delle lettere alle

(1) DANTE: Od., pag. 99. (2) Id. id.

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44 CAPITOLO PRIMO

donne che litigavano con i loro innamorati o che le sollecitasse, per conto degli amici, a non incolparli ? E questo, si badi bene, senza sapere niente affatto per che cosa litigavano. E come avrebbe fatto a risanare l’amico da ogni colpo gettato dall'amore per mezzo di una lettera ? e come ricono- sceva così semplicemente Dante che a lui spettava di fare alta vendetta con- tro la donna ? Che c'entrava ? L'amico ha l’aria di parlargli per la prima volta ed egli sa tutto, trova che era suo dovere scrivere, sa che la sua lettera avrebbe risanato il colpo. E via! Lasciamo gli ingenui a credere che qui si tratti veramente di amore. Questi appelli alla persona di alto grado, que- ste risposte in fretta piene di preoccupazione, questo evidente parlare per sottintesi, questo dare ad intendere che si danno i connotati di una donna dicendo semplicemente che è «una leggiadra giovinetta Che porta pro- piamente Amor nel viso » è tutto un insieme di cose che nel senso lette- rale non regge e viceversa regge perfettamente con l'ipotesi che qui si so- stiene.

Ma qui c’è da aspettarsi una delle solite risposte ingenue della critica «positiva »: Si trattava di una corte d’amore.

Risposta ingenua per due ragioni : prima di tutto perchè di questa corte d’amore nessuno ci dice dove risiede, dove si riunisce, chi ne è il capo, ci in nessuna maniera alcun ragguaglio preciso ed è evidentemente, se pur si voglia chiamare corte d’amore, qualche cosa di segreto, ed inoltre perchè quando si sia detto che è una corte d'amore, non si è detto affatto che non fosse una società segreta con intenti religiosi o mistici, perchè tutti sanno che le corti d’amore di Provenza furono spessissimo mascherature di riu- nioni settarie, attraverso le quali i trovatori albigesi conducevano la loro propaganda e la loro lotta.

Pertanto, quando a questa riunione si sia dato il nome generico di corte d’amore, non si è saputo nulla sul vero contenuto della sua attività e sulle sue intenzioni, che indiscutibilmente esorbitano da quella attività puramente cavalleresca e cortigiana che pretendevano esercitare le corti d'amore.

7. CARTEGGIO INFORMATIVO SOTTO VESTE DI POESIA D'AMORE. Ma vi sono delle poesie che hanno a prima vista il vero e chiaro carattere di richieste di informazioni o di rapporti informativi sopra a qualche cosa che si chiama « Amore » per evidente convenzione. Io ho già citato il sonetto di Cino : Perchè voi state forse ancor pensivo, che è certamente un rapporto in gergo su un proprio viaggio, in riguardo alla setta e ai suoi nemici; ma in alcuni sonetti scambiati fra Dante e Cino questo carattere di informazioni risulta evidente. Dante scrive in un sonetto che egli si trova in un luogo dove donne uomini sono innamorati (che strano luogo, se si creda al senso letterale !) e perciò il luogo è «rio » e il poeta piange che il tempo sia volto in danno loro e del «dire d'amore ». E Cino gli risponde che è «spento il bene », ma con commossa parola prega Dante di non tacere per

GLI STRANI AMORI DEI « FEDELI D'AMORE » 45

questo e di continuare ancora a dire d’amore e la sua esortazione a dire d’a- more se non è sciolto dalla fede (si noti dalla fede), rivela questo stesso amore come quel « den che predicava Iddio e nol tacea nel regno de’ dimoni ».

DANTE A MESSER CINO DA PISTOIA.

Perch'io non trovo chi meco vazioni del signor a cui siete voi ed 10, conviemmi sodisfare al gran disio ch’i' ho di dire i pensamenti boni. Null’altra cosa appo voi m’accagioni del lungo e del noioso tacer mio, se non tl loco ov'i’ son, ch'è rio, che ’l! ben non trova chi albergo li doni. Donna non ci ha ch'Amoy le venga al volto, omo ancora che per lui sospiri ; e chi °’l facesse qua sarebbe stolto. Oh, messer Cin, coine ’1 tempo è rivolto a danno nostro e de li nostri diri, da po’ che ’l ben è poco ricolto ! (1).

MESSER CINO A DANTE.

Dante, i’ non so in qual albergo soni lo ben, ch'è da ciascun messo in oblio ; è gran tempo che di qua fuggio, che del contraro son nati li troni ; E per le variate condizioni, chi ’'1 ben tacesse non risponde al fio: lo ben sa’ tu che predicava Iddio, e nol tacea nel regno de’ dimoni. Dunque s’al ben ciascun ostello è tolto nel mondo, in ogni parte ove ti giri, vuoli tu anco far dispiacer molto, Diletto frate mt0, di pene involto. merzè per quella donna che tu miri: di dir non star, se di fe’ ron se’ sciolto (2).

Sono due sonetti molto significanti per chi ha un po’ di udito fine, perchè, specialmente quando essi siano messi insieme, fanno sentire molto limpidamente il legame che c’è tra questo preteso amore e una fede comune, una lotta comune per una idea che è messa in abbandono dal mondo, per un bene morale e religioso, quello « che predicava Iddio e nol tacea nel regno de’ dimoni », al quale i due amici si serbano fedeli e del quale Cino vuole che Dante parli ancora se non è sciolto dalla sua fede. Altro che il gergo mera- mente letterario sognato dal Comparetti e dal D'Ancona!

(1) DANTE: Od., pag. 101. (2) Id. id., pag. 101. La lezione « d’opre non star » adottata dalla Società Dante- sca mi sembra poco persuasiva perchè poco a posto.

46 CAPITOLO PRIMO

Intanto con quelle poche parole di finto amore Dante, dovunque egli sia, ha fatto sapere a Cino che dove egli è non vi è nessun altro adepto (nes- sun innamorato) v’è speranza di diffondere la «dottrina d'amore »: «e chi il facesse qua sarebbe stolto ».

Ma basta semplicemente fare un po’ l'orecchio all’idea del simbolismo segreto, perchè il tono del gergo settario risuoni subito in tuffa questa poe- sia, perchè la strana coesione di questi poeti e i loro continui sottintesi e le loro continue allusioni velate a fatti inafferrabili rivelino con tutta chia- rezza che siamo in un ambiente settario e che si usa un linguaggio conven- zionale.

8. IDEE POLITICHE E RELIGIOSE AFFINI TRA I « FEDELI D'AMORE ». Un fatto di enorme importanza e che non è stato mai messo bene in luce è questo. Tutti questi « Fedeli d’amore » i quali secondo la critica tradizionale avrebbero dovuto avere in comune soltanto la sorte amorosa di amare una donna mal definita e inafferrabile e di angelicarla, hanno o comuni o vi- cinissime tra loro anche le idee politiche o le tendenze religiose.

Questi « Fedeli d’amore » sono tutti, si può dire, o ghibellini o ghibelli- neggianti o, se anche viventi in ambiente guelfo, sono per lo meno netta- mente avversi alla Chiesa corrotta di Roma o di Avignone.

Da Federico II e dalla sua corte fieramente ghibellina l’uso di scrivere parole d'amore per rima passa a Bologna sotto la guida del Guinizelli ghibellino fierissimo ; passa a Firenze presso un gruppo di poeti che vivono in ambiente guelfo, ma che passano quasi tutti alla parte Bianca (I) e fi- niscono più o meno apertamente ghibellini.

Il fatto è tanto più notevole in quanto un fenomeno affine è stato no- tato presso i trovatori di Provenza ; di questi, quelli favorevoli al Papa usavano sempre una maniera di poetare semplice e chiara, erano sospetti di eresia e antipapali quelli che usavano il « trobar cluz » e le « caras rimas » oscure. Ora tra i Guelfi vi erano pure molti uomini dotti e capacissimi di dire per rima e cortesi e gentili uomini, ed è da credere che si saranno innamorati come i ghibellini. Ma perchè tutte le poesie oscure dei « Fedeli d’amore » sorgono in ambiente ghibellino e antipapale ? (2).

(1) Contro la parte Bianca esiste, sì, un sonetto: Color di ceney fatti son li bianchi, che un solo codice attribuisce a uno di questi poeti, GuIDo ORLANDI (RIVALTA : Liri- che del « dolce stil nuovo » pag. 156). Anche se il sonetto è suo (cosa difficile ad affer- marsi sulle testimonianze di un codice solo), bisogna tener presente che l’Orlandi non figura in alcun modo tra coloro che continuarono ad essere in rapporto con Dante, con Cino e con gli altri dopo la crisi per la quale i Bianchi furono cacciati da Firenze e può essere benissimo uscito dal movimento.

(2) V'è un poeta d’amore guelfo nello spirito ma egli non fa parte del gruppo, nor si dice «fedele d’amore » ed è odiato : Guittone.

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GLI STRANI AMORI DEI « FEDELI D'AMORE » 47

Ma guardiamo un poco insomma chi sono i poeti d’amore italiani più caratteristici. Eccoli :

Federico II, Imperatore ghibellinissimo.

Manfredi, suo ghibellinissimo figlio.

Pier delle Vigne, suo Cancelliere, nemicissimo della Chiesa di Roma.

Jacopo da Lentini, notaio dell'Imperatore ghibellinissimo.

Guido Guinizelli, notissimo ghibellino.

Guido Cavalcanti, in fama di eretico presso i suoi contemporanei.

Dante Alighieri, le cui ossa furono ricercate dopo morto per essere bruciate sotto imputazione di eresia.

Cino da Pistota, nemico della Chiesa e partigiano fierissimo dell'Impero.

Francesco da Barberino, soldato di Arrigo VII.

Cecco d’Ascoli, che scrive a Dante: « A me la tua parola stretta le- gola » e che finisce bruciato vivo come eretico sei anni dopo la morte del Poeta.

Ma la critica «positiva », così attenta nell’analisi dei particolari, così incapace di cogliere lo spirito nascosto e volutamente occultato di un canto, risponderà che tutto questo è un caso e che è pure un caso che la poesia d’amore si ricolleghi a certe tradizioni come quella del Roman de la Rose tra- dotto nel Fiore di Messer Durante, nel quale la donna è già impersonale, il simbolismo domina tutto l’ambiente e l'odio contro la Chiesa corrotta e lo spirito ereticale circolano liberamente per tutto 11 poema, e che è anche un caso che la poesia d’amore a tipo mistico trovi poi le sue note sulla bocca di due terribili e implacabili odiatori sa Chiesa corrotta : Giovanni Boc- caccio e Francesco Petrarca.

Sono questi « Fedeli d'amore » uomini che, almeno in certi tempi e in certi gruppi, hanno una abbastanza netta fisionomia se non politica, reli- giosa. E sono un gruppo non di solitari vagheggiatori di donne angelicate o di estetiche si incretiniscano in un gergo letterario, ma un gruppo che medita e pensa qualche cosa di molto serio. Uno di questi poeti un bel giorno scrive al capo, a Guido Cavalcanti, facendogli una proposta che fa strabiliare : quella di fare una mostra, cioè una parata di « Fedeli d'amore » a cavallo, a suono di trombe, per il giorno di Pasqua!

Che cosa c'entra questa proposta con la donna angelicata e con il « cuore gentile » che vagheggia la donna purissima e col gergo letterario ? In questo sonetto vibra una emozione collettiva, una forma di entusiasmo collettivo. Si sogna questa bella parata di « Fedeli d’amore » armati a cavallo. Perchè ? Per che cosa ? Per far della letteratura ? Armati a cavallo e, si noti bene, a suon di trombe e non di corno. Il poeta vuole che non si pensi ad una pacifica e brillante cavalcata di caccia che si raccoglieva al suon del corno, vuole una cavalcata a suon di frombe, quelle che raccoglievano 1 cavalieri fer la guerra !

Il sonetto è corrotto nella sua lezione e in alcune parti mal compren- sibile ; chiara in ogni modo è la proposta di fare una mostra di « Fedeli

48 CAPITOLO PRIMO GLI STRANI AMORI DEI « FEDELI D'AMORE »

d’amore » armati a cavallo a suon di trombe e proprio in quer giorni di Pa- squa (si noti) nei quali avvenivano tutti quegli innamoramenti subitanei (che erano iniziazioni), in quei giorni di Pasqua particolarmente sacri per i Templari e per il loro carattere religioso pochissimo adatti alle avventure amorose.

A suon di trombe innanzi che di corno vorria di fin amor far una mostra d’armati Cavalier di Pasqua il giorno; e navicando senza tiro o d’ostra ver la gioiosa, girle poi d’intorno a sua difesa non cherendo giostra a te, che sei di gentilezza adorno, dicendo ’1 ver, per ch'io la Donna nostra

Dio su ne prego con gran reverenza per quella, di cui spesso mi sovvene ch’allo suo Sire sempre stea leale ; servando in l’onor, come s’avviene viva con Dio che ne sostene ed ale, mai da lui non faccia dipartenza (I).

E dopo questo si vorrà ancora ritenere che questi « Fedeli d’amore » fossero soltanto dei patetici ammiratori di signore che passavano per la strada e che, pur essendo tutti uomini di azione, di lotta, di guerra, di parte, sentissero ogni tanto questo bisogno puramente letterario di versare l'uno nel grembo dell’altro e di nascosto dalla «gente grossa » i propri spasimi per questa o per quella madonna, impasticciandoli col gergo, con la morale, con la meta- fisica e con la politica ? |

1,0 creda chi vuole. Io non lo credo. E spero di lavare tutti costoro che hanno vissuto e cantato come potevano un loro grande dramma spirituale e religioso, da «tanta infamia », come direbbe Dante, quanta sarebbe l’es- sersi baloccati invece col gergo letterario e l'avere scritte tante fredde melen- saggini amorose e tanti antiestetici pasticci di moralismo erotico, quanti se ne accumulano intorno alle poche belle poesie che essi ci hanno lasciate.

(1) VALERIANI. Poeti del Primo secolo, vol. II, pag. 269.

CAPITOLO SECONDO

Le strane donne dei « Fedeli d’amore »

Se tu savessi bene La Donna chi ell’ene !

F. DA BARBERINO.

I. LIE DONNE INVEROSIMILI. Se un primo esame obbiettivo dell’at- teggiamento generale dei « Fedeli d'amore » ci induce a pensare come molto verosimile che essi parlassero in forma convenzionale e fossero stretti fra loro dai legami di una iniziazione, d'altra parte questa ipotesi è potentemente confermata da una prima obbiettiva considerazione del carattere delle donne che essi dicono di amare.

Le donne ? Ma si può veramente parlare di diverse donne nella poesia di questi « Fedeli d'amore » ? C'è una di queste donne che differisca in qualche modo dall’altra ? Conosciamo di qualcuna di esse la fisionomia fisica o morale, il carattere, gli atteggiamenti, il volto ? È qualcuna di esse veramente una dersona viva? Si conoscono le parole dette da qualcuna di queste donne, che non siano parole stereotipate e insignificantissime ? Si conoscono circo- stanze della loro vita, nomi sicuri, famiglie, vicende ?

Nulla ! Per decenni e decenni nella poesia italiana la donna non ha altro nome che « Rosa », proprio (o che bel caso !) il nome del mistico fiore della Persia e del misterioso fiore che si ritroverà mèta dello stranissimo amore del Roman de la Rose e del Fiore! anzi talora si chiama addirittura « Rosa di Soria » o « Rosa d'Oriente ». Ma quando prende un nome di persona viva, diventa-per questo più personale ? C'è qualche cosa che ci faccia sup- porre una differenza vera tra Lagia di Lapo Gianni e Giovanna di Guido Ca- valcanti all'infuori del nome ?

Ecco, in mezzo a tutte queste donne impersonali ed evanescenti, una ne sorge che, in uno scritto posteriore di circa ottanta anni alla morte di lei, prende per la prima volta il nome di Beatrice Portinari ed ha anche un marito. Ebbene, proprio a farlo apposta, questa che sarebbe l’unica donna storica, la ritroviamo con un indubitabile carattere di simbolo sulla cima del Para- diso Terrestrea rappresentare indiscutibilmente la Sapienza santa. Troviamo colei che guidò Dante nella Vita Nuova, che, senza cambiare in nulla nome figura, e alludendo al primo amore del poeta per lei, apparisce indiscutibilmente come la personificazione della Sapienza Santa.

4 VALLI.

50 CAPITOLO SECONDO

Ma qui ci si risponde : Beatrice era nella Vita Nuova semplicemente una donna vera amata: poi a un certo punto venne in mente a Dante di travestirla da simbolo di quella Sapienza che sta sul carro della Chiesa.

Sono tanti anni che si ripete questa assurdità, che abbiamo quasi perduto il senso della profondissima sconvenienza che essa contiene : sconvenienza sentimentale, morale e religiosa. Dante, secondo questa teoria, în mezzo a persone che ricordavano perfettamente di aver visto camminare per le vie di Fi- renze la moglie di Simone de’ Bardi, avrebbe detto un giorno così : « Giunto «alla soglia dei cieli, dove l’uomo riacquista la libertà santa, io vidi in «una grande visione la storia dell'umanità, vidi venire innanzi a me i sette «doni dello Spirito Santo sotto forma di sette candelabri, i ventiquattro «libri dell'Antico Testamento sotto forma di vegliardi e il Cristo biforme, «Lui in persona, che tirava la sublime e santa arca della Chiesa e su quel- « l’arca vidi apparire..... indovinate chi? Laricordate? La moglie di Simone «de’ Bardi. Era lei in figura della Santa Sapienza, perchè la moglie di Simone «de’ Bardi, se non lo sapete, è tutt’una con la divina Sapienza che Cristo « portò in terra e ci rivelò col suo sangue! ».

Si ha un bel dire che egli aveva tdealizzato, ano angelicato e sublimato la donna reale! Di fronte alla gente che aveva veduto passeggiare per le vie di Firenze la moglie di Simone, questo rappresentare proprio lei sul carro tirato da Gesù Cristo, non poteva non suonare come una sconvenienza e come una profanazione. Ma sconvenienza e profanazione non era perchè, se molti chiamavano la donna di Dante Beatrice, la quali non sapeano che st chiamare » (1) cioè ignoravano chi e che cosa essa fosse, tutti quelli che avevano « intendimento » sapevano benissimo che cosa significasse Beatrice nella Vita Nuova e perciò vedevano con perfetta logica proprio lei sul carro della Chiesa guidato da Cristo.

Ma ci sono le testimonianze storiche, si grida.

Fsamineremo bene il valore di queste testimonianze storiche quando parleremo del « mito di Beatrice ». Per ora basti osservare che la testimonianza storica principalissima a favore della realtà di Beatrice Portinari non selo viene fuori quasi ottanta anni dopo la morte di lei (e vale tanto quanto potrebbe valere la mia testimonianza messa fuori oggi per la prima volta sopra un amore infantile del Conte di Cavour), ma è resa da un « Fedele di amore » come era Giovanni Boccaccio, da un « Fedele di amore » che non avrebbe po- tuto esprimere la vera realtà di Beatrice senza rischiare ?/ rogo e che, invece, doveva far di tutto per nascondere la vera essenza di lei ; è una testimonianza che può essere presa sul serio soltanto dalla meravigliosa ingenuità di quella critica « positiva » che dovrebbe prendere sul serio anche il sogno simbolico della madre di Dante, inventato e spiegato artificiosamente per i gonzi dallo stesso Boccaccio.

———— 8

(1) V. N., II

LE STRANE DONNE DEI « FEDELI D'AMORE » 5I

E per quanto riguarda l’altra testimonianza storica per la quale la cri- tica realistica ha menato grande scalpore, quella cioè del terzo commento di Pietro di Dante, basti ricordare : Primo, che questo terzo commento è tardissimo e probabilmente in rapporto (come dimostra la perfetta somiglianza delle frasi usate) con quello del Boccaccio. Secondo, che l’assenza del nome di Beatrice Portinari dal primo e più autentico commento di Pietro e dal com- mento di Iacopo, dimostra che la leggenda della Portinari si è creata tardis- simo e non ha nessun valore storico. 7 erzo, che lo stesso Pietro era, come tutti gli altri, un « Fedele d’amore » adoperantesi a tutt'uomo per salvare la Com- media dal rogo che l’aveva minacciata, e che è semplicemente fuerile domandare a lui se Beatrice era o no un simbolo di una idea segreta e settaria.

Ma, ripeto, l'esame di tutto il problema di Beatrice sarà fatto a suo tempo. Per ora fermiamoci su osservazioni di altro genere.

2. LE DONNE « SAPIENTISSIME ». Non si è osservato che nella loro asso- luta impersonalità e nella loro assoluta mancanza di caratteri individuali que- ste pretese donne vere hanno però un carattere comune a tutte e stranissimo.

Tutti sappiamo che specie di persone fossero le donne vere anche gentili e ornate del Medioevo. Possiamo comprendere perfettamente che l’animo di un poeta ne abbia esaltato la bellezza e la leggiadria fino a trasfigurarle in forma angelicata, ma che queste donne fossero dei veri e propri vasi di sapienza o di dottrina, questo sembra alquanto inverosimile.

Eppure, ecco Cavalcanti che dice :

Saver compiuto con perfetto onore

Tuttor si trova in quella cui disio (I). ° Dice altrove :

E tanto è più d’ogn’ altra canoscenza

Quanto lo cielo de la terra è maggio (1) (2). Fcco Cino da Pistoia dire della sua donna:

E le parole sue son vita e pace,

ch’è saggia e sottile,

Che d'ogni cosa tragge lo verace (3).

Ma (ascoltate, ascoltate voi che date come dimostrato e indiscutibile che la Vita Nuova sia scritta per una donna vera) quando Dante scrisse la canzone: Donne che avete intelletto d'amore, ebbe da queste donne (che dove- vano essere molto sapienti !) una risposta in bei versi e ad un certo punto le «donne », dopo avere molto lodato Dante, ringraziandolo di aver loro rivelato la grandezza e la bellezza di madonna (!), fanno dire alla can- zone che vuole andare

fin ched i’ giugnerò a /a fontana d’insegnamento, tua donna sovrana (4).

(1) CAVALCANTI : Ed. cit., pag. 75. (2) Ia. td., pag. 109. (3) Rime, ed. cit., pag. 29. (4) DANTE: Od., pag. 61.

52 CAPITOLO SECONDO

In queste parole noi apprendiamo una cosa che Dante era stato abbastanza furbo per non dire, e cioè che la sua Beatrice, la Beatrice della « Vita Nuova », aveva l’abitudine di abitare presso la fontana d'insegnamento o (se si voglia diversamente intendere) era una fontana d'insegnamento. Ora questa fontana d’insegnamento era stata sempre il simbolo della tradizione 1niziatica attra- verso la quale si trasmetteva la Sapienza santa: giuro che la moglie di Simone de’Bardi non solo non abitava presso questa simbolica fontana, ma non sapeva nemmeno che cosa fosse !

Ed i poeti siciliani anche loro hanno avuto la fortuna di amare tutte donne sapientissime ; Jacopo da Lentini scrive :

lo vostro amore mi mena dotrina (1).

Effetto dell'amore certo non comune.

Questi ed altri esempi che potrei moltiplicare non si spiegano con un semplice gusto di esagerare e adulare. L’adulazione non spiega la fontana d’insegnamento quella conoscenza che supera tutte le altre conoscenze e che avrebbe reso in qualche modo famosa quella Monna Vanna, introvabile tra le introvabili, mentre al solito basta pensare che la donna sia il simbolo della Sapienza perchè naturalmente debba diventare la più sapiente di tutte le donne, perchè il suo amore debba menare dottrina, perchè Beatrice debba trovarsi già nella Vita Nuova presso la fontana d'insegnamento (2).

3. LE DUE EVIDENTI FIGURE DI DONNA-SAPIENZA. Ma non basta. Di queste donne sapientissime e distributrici di dottrina, ma tuttavia raffigurate nelle liriche come vere donne, ben due, non una sola, ne ritroviamo a un certo punto trasformate nettamente e chiaramente in simboli della Sapienza, e sono : l’Intelligenza di Dino Compagni e la Beatrice della Divina Commedia.

Dino Compagni dopo avere scritto poesie d’amore, a un certo punto, continuando con lo stesso stile e con lo stesso formulario, alla donna della quale pare innamorato sostituisce chiaramente e limpidamente una miste- riosa Intelligenza, della quale dice :

E così stando a mia donna davanti, intorneato di tant’allegrezza, levò li sguardi degli occhi avenanti, ed io ’mpalidi’ per dubitezza ; allor mi fece dir: Più tra’ ti'nnanti, e prendi ne la mia corte contezza ; ed io le dissi: Donna di valore, s'io fossi servo d’un tuo servidore, sariame caro sovr’ogni ricchezza.

(1) MONACI: Crestomazia italiana dei primi secoli, pag. 49.

(2) Inutile dire che questo « insegnamento » di Madonna si ritrova spesso celebrato presso quei poeti provenzali nei quali la donna rappresentava appunto la setta segreta che insegnava la verità santa.

LE STRANE DONNE DEI « FEDELI D'AMORE »

Allor Madonna incominciò a parlare, con tanta soavezza, e disse allore : Hai tu cuor gentil potessi amare, quanto potrai amar, ti fo signore ;

Quando parlava, lo dolzor c’avea di ciò che mi dicea Madonna allora, mi’ spirito neun non si movea, si fu ben trapassante più c’un’ora ; anior mi confortava e mi dicea : rispondi : « V'amo, donna, oltre misura » ; allor rispuosi per quella fidanza,

e Madonna mi diè ricca speranza, perch’i’ l'ho amata ed amerolla ancora (1).

Le sue compagne son le gran’ bontadi, che fanno co la mia donna soggiorno, che sono assise per settimi gradi ;

e le sue cameriere c’ha d’intorno,

son li sembianti suoi che non son laidi, che la fanno laudar sovente intorno ;

e i nomi e la divisa pon l’autore,

assai aperto al buon comoscidore,

e la masnada di quel luogo adorno.

O voi c’avete sottil conoscenza, più è nobile cosa auro che terra ; amate la sovrana Intelligenza, quella che trage l’anima di guerra, nel conspetto di Dio fa residenza,

e mai nessun piacer no le si serra ; ell’è sovrana donna di valore,

che l’anima notrica e pasce "| core,

e chi l’è servidor giammai non erra (2).

E altrove dice :

Volete voi di mia donna contezza, più propiamente ch’i' non v’ho parlato ? Sovr’a le stelle passa la su’altezza, fin a quel ciel ch'Empirio è chiamato ; e’'n fin a Dio risplende sua chiarezza, com’a nostr’occhi ’1 sole apropiato, l’amorosa Madonna Intelligenza che fa nell’alma la sua residenza, che co la sua bieltà m'ha ’nnamorato. La ’Ntelligenza nell'anima mia entrò dolce e soave e chiusa molto e venne al core ed entrò ’n sagrestia, e quivi cominciò a svelar lo volto ;

(1) Strofe 296-298. (2) Strofe 306-307.

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54 CAPITOLO SECONDO

quest’è la donna di cui vi dicea,

che col su’ gran piacer m'ha servo accolto ; quest’è la donna che porta corona

di sessanta virtù, come si suona ;

questa diparte il savio da lo stolto... (1).

Ecco dunque un poeta appartenente a questo gruppo, che parla della sua donna proprio con la fraseologia stilizzata della moda del tempo, benchè in metro insolito, che è condotto a lei da Amore personificato, che impallidisce dinanzi a lei, che la trova in una corte, che la chiama « donna di valore », che la può amare soltanto perchè ha «il cuor gentile », che sente i suoi spiriti immobilizzati davanti a lei mentre Amore lo conforta e gli speranza ; un poeta che dice che questa donna ha delle compagne (si ricordi che esse sono assise in sette gradi), che essa « ha tali sembianti........ che la fanno laudar sovente intorno » (Ella sen va sentendosi laudare), che essa « tragge l’anima di guerra » e simili cose che sono le stesse dette sempre per le altre donne, e questo poeta ci confessa chiaramente che questa donna non è niente affatto una donna ma è « l’amorosa Madonna Intelligenza », nella quale è impossibile non riconoscere proprio quella Sapienza di platonica e salomonica memoria che si immedesima, come vedremo, con l’Intelletto attivo e che perciò rappre- senta il raggio dell’intelletto divino disceso all’uomo, il vero legame tra Dio e l’uomo, che conduce l’uomo a Dio. Ho osservato innanzi che, per disgrazia degli interpreti realistici, proprio quella donna della quale pretendono di conoscere il cognome è raffigurata indiscutibilmente come la Sapienza santa portata da Cristo: osservo ora che proprio questa Intelligenza, che è così indiscutibilmente ed esclusivamente «l’amorosa Madonna Intelligenza », è fra tutte queste donne quella che è dipinta con maggiori particolari realistici nella sua figura fisica ! Di nessuna di queste donne ci viene descritta la figura con tanta precisione di particolari come di questa che è confessatamente una non-donna. Sentite :

Guardai le sue fattezze dilicate, che ne la fronte par la stella diana, tant’è d’oltremirabile bieltate, e ne l’aspetto dolze ed umana ; bianch’ e vermiglia, di maggior clartate che color di cristallo o fior di grana, la bocca picciolella ed aulirosa, la gola fresca e bianca più che vosa, la parlatura sua soave e piana.

Le blonde trecce e’ begli occhi amorosi, che stanno in salutevole loco, quando li volge son dilettosi che ’1 cor mi strugge come cera foco ; quando spande li sguardi gaudiosi par che ’1 mondo s’allegri e faccia gioco (2).

(1) Strofe 299-300. (2) Strofe 7-8.

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LE STRANE DONNE DEI « FEDELI D'AMORE » 55

di Monna Vanna, di Monna Bice, di Lagia abbiamo mai visto così realisticamente la « gola fresca e bianca » e la « bocca picciolella ed auli- rosa ». Dino Compagni ci fa vedere l’una e l’altra proprio nell'aspetto dell’amo- rosa Madonna Intelligenza! È dunque questo divino raggio della verità che ha indiscutibilmente la « gola bianca » e la «bocca aulirosa ». E come si può credere alla realtà di quelle altre donne disegnate dagli amici di Dino Com- pagni in termini tanto più vaghi, quando questa, disegnata in termini così precisi, non è indiscutibilmente niente altro che l’Intelligenza ?

Dino Compagni dunque, rimando su materia amorosa, cioè a dire, ado- perando 1l materiale dell'amore umano, forma alla sua visione e alla sua glorificazione della santa Intelligenza o Sapienza che discende da Dio all'uomo.

Questo fa Dino Compagni : Dante Alighieri non fa nulla di diverso e i due sono indipendenti, fur uscendo dallo stesso gruppo.

Dante, continuando il giuoco della Vita Nuova nella Lana può in questa raffigurare chiaramente la sua Beatrice come Sapienza santa venuta in terra conle tre virtù teologali e che stette un giorno e dovrebbe stare sul carro della Chiesa fatto per portare lei, mentre quel carro porta ora la sua anti- tesi, la meretrice, scienza delle cose divine corrotta e asservita dal potere mondano.

Ebbene, a parte le incongruenze già notate, sarebbe inverosimile che con- temporaneamente a Dante un altro poeta avesse compiuto una trasfigurazione analoga se in queste donne il carattere di « simbolo della Sapienza santa » non fosse stato già fino da principio. Tanto più strano sarebbe che queste due donne : l’Intelligenza di Dino Compagni e la Beatrice-Sapienza della Divina Commedia si ritrovassero con tanti elementi comuni e vestite proprio allo stesso modo, perchè la veste dell’Intelligenza è questa:

E vestesi di seta catuia (1)

se o si .i o Goa GGO Sì? dop 80 * e e es e ès è e e so a ai a 60 ae so » eo è. 60 ao s_o»o îdeaaesGCLGOO i fl ss .*

quand’ella appar con quella mantadura allegra l’aire e spande la verdura e fa le genti star più gaudiose (4).

E Beatrice, come tutti ricordano, apparisce vestita di rosso, con manto verde, e il velo bianco(5). Non solo, ma l’Intelligenza ha nella sua corona sessanta (si badi bene, sessanta) bellissime pietre, proprio come Beatrice stava in una famosa canzone (che Dante ricorda e che, forse n0n per caso, andò distrutta) (6)

(1) Del Catai. (2) Rosso. (3) Verde azzurro. (4) Intelligenza, ed. cit., pag. 131. (5) Purg., XXX. (6) V. N., VI, 2.

56 CAPITOLO SECONDO

con altre sessanta donne, il che farebbe molto meravigliare se la primogenita ed il prototipo di tutte queste finte donne, cioè la donna del Cantico dei Cantici, non fosse essa pure l’eletta fra sessanta regine : « Sessanta sono le re- gine....... una è la mia colomba, la mia perfetta » (1).

Anche qui abbiamo un fatto che secondo l’interpretazione tradizionale rimane stranissimo come coincidenza e, per quanto riguarda la trasforma- zione di Beatrice, assurdo e sconveniente, mentre invece diventa chiaris- simo se si supponga che queste donne siano fin dalla loro origine simbolizza- zioni della Sapienza Santa.

La donna di Dino Compagni si è a un certo punto svelata come l’« amo- rosa Madonna Intelligenza ». La Beatrice di Dante si è a un certo punto svelata come Sapienza santa ; ma già nelle liriche era stata rappresentata da altri come assisa alla « fontana d’insegnamento ».

L'una e l’altra erano fin dal principio Sapienza o Intelligenza che, come vedremo, sono la stessa cosa.

Ma se riconsideriamo un poco quella canzone che costituisce, si può dire, la magna charta del « dolce stil novo », cioè la canzone di Guido Guinizelli : Al cor gentil ripara sempre amore, noi troveremo una indiretta ma chiara conferma del fatto che queste donne sono o meglio, questa donna, è «l’amorosa Madonna Intelligenza ». Nella quinta strofa essa stabilisce una importantissima similitudine tra la « divina Intelligenza » e la bella donna che è oggetto del- l’amore, similitudine che, a chi abbia un po’ di udito fine (non natu- ralmente alla «gente grossa » che non deve capire), suona proprio come una identificazione.

Splende la ’ntelligenza de lo cielo del creator, più ch'a nostr’occhi il sole. Ella intende ’1 fattor su’ oltra ’l cielo, il ciel volendo lui ubidir vole, et consegue al primiero dal giusto Dio beato a compimento : così dar dovria ’| vero la bella donna, in cui occhi risplende dil suo gentil talento, che mai da l’ubidir non si disprende (2).

Il testo è un po’ incerto, ma una cosa è sicura, che qui si dice che « l’amo- rosa Madonna Intelligenza » (Compagni), cioè la Sapienza santa che « gl/ortosa- mente mira nella faccia di Dio » (Dante), penetra addentro nel pensiero divino ; che come il cielo in tutto ciò che vuole segue la intelligenza divina che gli fu data per guida; così la della donna nella quale risplende la volontà pura (il gentil talento) dovrebbe essere norma di coloro che l'amano. In altri termini :

(1) VI, 8.

(2) Riproduco la canzone secondo il testo del Codice Casanatense d. v. 5 edito dal Pelaez, (Rime Antiche Italiane, Bologna, 1895).

LE STRANE DONNE DEI « FEDELI D'AMORE » 57

la della donna amata dal Poeta compie la stessa funzione della Intelligenza, che si affisa in Dio e guida la creatura che in lei si affisa. L’Intelligenza del cielo guida il cielo secondo la volontà di Dio. L’Intelligenza (santa Sapienza) dell’uomo, dovrebbe guidare l’uomo secondo la volontà di Dio.

Ma la canzone di Guido Cavalcanti: Donna mi frega è tutto un oscuro trattato intorno a questa « Intelligenza », all'amore che lega gli uomini a lei, alla dissimulazione cui sono costretti 1 « Fedeli d’amore » : è in breve tutto un documento della verità del simbolismo. Non solo ma, una volta spiegata, essa è la riprova luminosa di quanto sinora si è venuto supponendo perchè tra l’altro a un certo punto, affermando in limpide parole che Amore nasce da una forma « che prende loco e dimoranza nell’intelletto possibile », viene a dire chiaramente che esso non è altro se non il congiungersi dell’intelletto possibile con l'intelligenza attiva, cioè con la Sapienza.

Quando esporremo nella sua integrità e sciolta dai suoi antichi veli quella importantissima canzone, vedremo meglio come questo pensiero si colleghi con tutto il resto. Si tenga intanto presente che in essa è detto che

AiÎMOre > ii Led ven da veduta forma che s’intende che prende nel possibile intelletto come in subietto loco e dimoranza.

E che Guido Cavalcanti con ciò viene a dire evidentemente del suo amore quello stesso che il Perez ha dimostrato dell'amore di Dante, che esso è cioè, non affatto amore per una leggendaria Monna Vanna, introvabile tra le intro- vabili, ma per quella stessa donna, la Sapienza santa o l’Intelligenza attiva, che Dante amava e che per Dante si chiamava Beatrice e per Guido Vanna o Giovanna e per il Compagni apertamente Intelligenza.

Così :

1) L'amore di Dante Alighieri si palesa a un certo punto chiaramente come amore per la « Sapienza santa ».

2) L'amore di Dino Compagni si rivela a un certo punto amore per l’« amorosa Madonna Intelligenza », che è cosa molto analoga.

3) L'amore di Guido Guinizelli si manifesta come amore per una donna la quale « dovrebbe dare il vero come la Intelligenza de lo cielo ».

4) L'amore di Guido Cavalcanti si manifesta come cosa che « prende loco e dimoranza nell’Intelletto possibile » e cioè come intelletto attivo o atto dell’Intelligenza o Sapienza.

L'ipotesi che invece di tante donne camminanti pedestremente per questo basso mondo si tratti di una donna unica e simbolica personificante la Sapienza santa o Divina Intelligenza apparisce, a chi abbia vera volontà di intendere, come ipotesi degna di ogni considerazione.

4. L’UNICITÀ DELLA DONNA AMATA. Mala unicità di questa donna non è testimoniata soltanto dalla unicità dei suoi caratteri, dal fatto che queste

58 CAPITOLO SECONDO

diverse donne si differenziano soltanto nel nome, che di tutte si parla alla stessa maniera, che la loro personalità non emerge mai e che tutta questa gente fa evidentemente all’amore tutta insieme e ha un gran bisogno di in- formare il vicino del proprio amore e informarsi dell'amore del vicino ; vi sono lampi nei quali la unicità di questa donna si tradisce in maniera assai palese.

Abbiamo visto che Guido Orlandi in un momento di entusiasmo propone che tutti i « Fedeli d’amore » armati facciano una bella cavalcata in onore di Madonna ciò che rende logico il pensare che si trattasse di una donna unica.

Guido Guinizelli dice che la sua donna non innamora lui soltanto, ma « dovrebbe innamorare ogni uomo ». Dante nel famoso sonetto : Tanto gentile e tanto onesta pare ce la descrive come una donna che fa tremare non il suo cuore, ma il cuore di chiunque essa saluta. Secondo Dante non l’ama egli solo e chiunque l’ha veduta non può finire male, non può essere dannato. Cino da Pistoia scrive addirittura

Chè non è sol de’ miei occhi allegrezza ma di quei tutti c'hanno da Dio grazia d’aver valor di riguardarla fiso ; Ch'ogn'uom che mira il suo leggiadro viso divotamente Iddio del ciel ringrazia, e cio ch'è tra noi qui nel mondo sprezza (1).

Dino Frescobaldi scrive :

Quest’è la giovinetta ch’Amor guida ch'entra per li occhi a ciascun che la vede (2).

Questo senso della unicità della donna, quantunque abilmente nascosto, sfugge qualche volta ai poeti in frasi o stranezze veramente interessanti. Cino da Pistoia a un certo punto, messa da parte la propria donna, si mette a can- tare con la consueta commozione la donna del suo amico Gherarduccio Garisendi e gli dice che quella donna « va sopra ogni altra » proprio con il tono col quale gli innamorati usano dir questo soltanto della propria donna.

Deh, Gherarduccio, com’ campasti tue, che non moristi allor subitamente che tw ponesti a quella donna mente di cui ti dice Amor ch’angelo fue ; La qual va sopra ogn’altra tanto piue quanto gentil si vede umilemente e muove gli occhi mirabilmente che si fan dardi le bellezze sue ? (3).

Il bello è che poco dopo Cino da Pistoia e Gherarduccio vengono alle brutte in un momento in cui da ogni parte i « Fedeli d’amore » si scagliano

(I) CINO: Rime, ed. cit., pag. 3I. (2) RIVALTA : Liriche del dolce stil nuovo, pag. 78. (3) CINO: Ibid., ed cit., pag. 15.

LE STRANE DONNE DEI « FEDELI D'AMORE » 59

contro Cino da Pistoia accusandolo di amare due donne incompatibili tra loro (la setta e la Chiesa, tra le quali infatti Cino in qualche momento si barcamena); allora Cino dice a Gherarduccio che amore l’ha fatto ingravidare di una rana e aggiunge, rivelando chiaramente che la donna di Gherarduccio è la stessa per la quale discende in lui lo spirito d’amore :

Falso, che ne la bocca porti ’1 mele, et dentro tosco, onde ’1 tuo amor non grana. Hor come vuoi, fa l'andatura piana per prender la columba senza fele : quella per cui lo spirito d'amore in me discende da lo suo pianeto quand’è con atto di bel guardo lieto (1).

E Gherarducci, gettando il suo scherno dietro all'anatema col quale la setta aveva colpito Cino, gli scrive :

Si che sovente in alegrezza corro membrandomi che v’ha data la pinta quella che m'ha d'amor la mente cinta (2).

È evidentissimo che qui si tratta della stessa donna e soltanto l’inte1- pretazione simbolica ci può far comprendere questo violentissimo precipitare della corrispondenza dalle altissime sfere della contemplazione platonica a questo basso pettegolezzo col quale viceversa si mescolano ancora forme no- bilissime. La donna è, come ho già accennato, tanto la Sapienza santa, sublime, unica, amata da tutti, quanto la setta che giudica e caccia i reprobi con grande gioia di quelli che le restano fedeli.

Ma v'è un caso nel quale la unicità della donna viene tradita in modo non dubbio. Dante, come vedremo in seguito, pur movendo dalla tradizione dei « Fedeli di amore », nella Divina Commedia presentò una concezione sua e nuova e potentemente originale della Sapienza santa, alla quale conservò il nome di Beatrice, e iniziò a quanto sembra un secondo periodo dell’attività della setta. Ebbene, quando fu conosciuta per intero la Divina Commedia, fu scritto un sonetto che va (non so con quanta ragione) sotto il nome di Cino da Pistoia. Chi lo rilegga non può dubitare menomamente che qui si tratta del risentimento di un « Fedele d’amore », il quale accusa Dante di aver rappre- sentato come sua la Beatrice che era di tutti e di avere escluso dall’onorata nominanza Onesto da Boncima che si trovava, secondo colui che scrive, nella buona tradizione della poesia d’amore settaria, cioè dietro ad Arnaldo Dantello.

(1) R. A., Casanat,, d. v. 5, n. 127. (2) Id. id., n. 126.

60 CAPITOLO SECONDO

È un sonetto fondamentale per la comprensione dello spirito vero di tutto questo movimento.

In fra gli altri difetti del libello, che mostra Dante, Signor d’ogni rima, son duoi grandi, che a dritto s’estima che n’aggia l’alma sua luogo men bello. L’un è; che, ragionando con Sordello e con molt’altri della dotta scrima, non fe’ motto ad Onesto di Boncima ch’era presso ad Arnaldo Daniello. L’altr'è ; secondo che ’1 suo canto dice, che passò poi nel bel coro divino dove vide la sua Beatrice. E quando ad Abraam guardò nel sino non riconobbe l’unica fenice che con Sion congiunse l’Appennino (1).

Chiunque abbia l’udito semplicemente normale sente subito nell’ira di questo sonetto lo spirito del settario dissidente o avverso a un settario dissi- dente. Ognuno comprende come il non aver nominato Onesto da Boncima non poteva essere ascritto a colpa grave (da dannare Dante !) a meno che l’autore del sonetto non avesse voluto rivendicare contro il meditato silenzio di Dante il valore di un poeta che aveva avuta molta importanza nella setta e che, come appare limpidamente dalle sue poesie contro Amore, era stato un dissidente feroce. Ma l’altra colpa di Dante è veramente interessantissima. Dante ha visto la « sua Beatrice », ma non ha riconosciuto in lei « l’unica fenice che con Sion congiunse l'Appennino ». Che cosa significa ciò ? O inge- nuità veramente mirabile di chi scivola sopra questo indovinello dicendo semplicemente che questa tale fenice era Selvaggia, la donna di Cino! Ma il poeta non accusa Dante di non aver visto un’altra donna, ma di non aver ri- conosciuto la fenice. E perchè Selvaggia sarebbe stata « l’unica fenice che con Sion congiunse l'Appennino ? »

In verità, chiunque sia, questo poeta ha voluto rimproverare a Dante . di avere esaltato la sua Beatrice, cioè la Sapienza santa come la concepiva lui e secondo la sua dottrina, senza riconoscere che questa Sapienza santa era quel- l’unica Sapienza di tutti gli adepti (compreso Onesto Bolognese, compresi gli altri innumerevoli consettari di varie sfumature), «l’unica fenice », la verità santa, eternamente risorgente dalle ceneri delle persecuzioni e dei roghi, «l’unica fenice che con Sion congiunse l'Appennino », che cioè riportò l’Italia (l'Appennino) a Ston (Gerusalemme), al vero culto della fede di Cristo attraverso le corruzioni della Chiesa carnale !

In questa terzina preziosissima erompe disordinatamente la rivelazione di tutto quel sotterraneo mondo di accordi, di contese, di ire, di passione reli-

(1) CINO: Rime, ed. cit., pag. 112.

DO ca

LE STRANE DONNE DEI « FEDELI D'AMORE » 6I

giosa e settaria che si agita sotto la ingannevole scorza di tante fredde e in- sulse chiacchiere d'amore !

Unica questa donna, unica questa fenice, questa Rosa, questo Fiore : la Sapienza santa mistica ed iniziatica, che differisce soltanto nel nome perchè è la dottrina ora di questo ora di quel poeta, che muore talvolta, spesso anzi, sotto un determinato nome, ma che risorge e rivive di continuo, unica fe- nice, attesa e speranza di rinnovamento, gioia dell’intelletto che attraverso ogni dolore e attraverso ogni prova riconduce a Cristo ed a Dio. La fenice che «al mondo muore per la gente grifagna, oscura e ceca », come dirà Cecco d’Ascoli, e che simboleggia l’eterna verità unica ed indistruttibile.

Ma del resto anche Dante nella Vita Nuova, non aveva ad un certo punto chiaramente lasciato intendere che Beatrice era amata non soltanto da lui, ma da tutti quelli che la conoscevano e non per gonfia rettorica da innamorato ? Si rilegga il passo che precede e segue il sonetto : Negli occhi porta la mia donna Amore. Dante scrive : « Vennemi volontade di dire anche, in loda di questa gentilissima, parole, per le quali io mostrasse come per lei si sveglia questo Amore, come non solamente si sveglia ove dorme, ma ove non è in poten- zia, ella, mirabilemente operando, lo fa venire » (1).

L'uso del presente indica evidentemente un fatto continuato e non ri- guarda lo svegliarsi dell'amore in Dante solo, ma lo svegliarsi dell'amore in chiunque la guarda, cosa che del resto è ripetuta nel breve commento al sonetto : « Dico come reduce in atto Amore ne li cuori di tutti coloro cui vede.... dico quello che por viriuosamente adopera ne’ loro cuori ».

È la aperta dichiarazione del fatto che essa innamora tutti, gittata, sotto l'apparenza di una gonfiatura entusiastica, in mezzo a un libro nel quale si doveva fingere di parlare di un amore personale.

5. LE STRANISSIME « DONNE » CHE ACCOMPAGNANO « MADONNA ». Altro stranissimo fatto che accade a questi « Fedeli d'amore », ma non in genere agli innamorati, è di avere come confidenti e intermediarie nel loro amore certe numerose, incomprensibili, e molto indefinite « donne », alle quali il poeta si rivolge e si raccomanda nelle circostanze più varie e le quali prendono lume e splendore da quella tale « donna sovrana ».

Sono le famose donne che hanno « intelletto d'amore », strani esseri che, mentre da una parte sembrano rappresentare ciò che di più squisito ha il genere umano, dall’altra figurano, la maggior parte delle volte, come delle molto subordinate e molto umili ancelle di « Madonna ».

Il Rossetti vide già molto bene che questa parola « donna » è una parola di gergo per dire « gli adepti », i correligionari, i fedeli d'amore, i quali in- fatti veramente sanno che cosa l’amore sia ed hanno quindi intelletto d'amore. Ed è questa una di quelle verità semplicissime che squarciano molti veli.

(1) V. N., XXI.

62 CAPITOLO SECONDO

C'è una flagrante contraddizione di fatto che rivela questa significazione e che non fu notata dal Rossetti. Dante scrive :

Donne ch’ avete intelletto d’amore, vo’ con voi de la mia donna dire, donne e donzelle amorose, con vui, che non è cosa da parlarne altrui (1). Ora se c'è persona che abbia parlato sempre del suo amore con uomini è proprio Dante, che ebbe sull’amore innumerevoli corrispondenze con Guido, con Cino ed altri e dedicava proprio ad un suo amico maschio tutto il racconto d’amore della Vita Nuova, dove è questa poesia. Egli dunque diceva di volerne parlare solo alle donne e intanto in realtà ne parlava a? fedeli d'amore, i quali infatti essendo, non già donne, bensì uomini molto colti e che sapevano scri- vere in versi, gli risposero con una bellissima canzone nella quale continua- rono il giuoco di parlare come donne, ma dissero delle cose che delle donne vere non avrebbero certamente detto mai di una donna vera ; cose come queste :

che ben è stato bon conoscidore, poi quella dov'è fermo lo disire nostro per donna volerla seguire, perchè di noi ciascuna fa saccente, ha conosciuta perfettamente

e ’nclinatosi a lei col core umile (2).

Queste « donne » riconoscono che ciascuna di loro è sapiente (saccente) per merito di Beatrice (!) e ringraziano Dante di inchinarsi a lei, alla quale evidentemente tutte loro si inchinano. Evidentemente sono gli adepti che rin- graziano Dante di aver degnamente lodato la santa Sapienza che illumina ciascuno di loro e che tutti servono, adepti i quali, come ho osservato, sanno benissimo che la Beatrice di Dante siede alla « fontana di insegnamento ».

Queste donne riconoscono la supremazia di Madonna cantata dal Poeta, infatti la chiamano addirittura « nostra donna », dicendo a Dante nella Vita Nuova :

Se’ tu colui c'hai trattato sovente di nostra donna, sol parlando a nui ? (3).

Non usa affatto tra donne vere riconoscere in questo modo la sovranità di un’altra. Tanto meno usa di far girare tra le donne (vere !) pensieri di questo genere che attrarrebbero molti sdegni sul poeta :

Le donne che vi fanno compagnia assa” mi piaccion per lo vostro onore (4).

(1) V. N., XIX. (2) DANTE: Od, pag. 59. (3) V. N., XXII. (4) CAvar- CANTI: Ed. cit., pag. 107.

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LE STRANE DONNE DEI « FEDELI D'AMORE » 63

che è invece un atto di cortesia verso i confratelli. E un poeta rischierebbe addirittura di esser linciato dalle amiche vere di una donna vera se scrivesse quello che osò scrivere Gianni Alfani:

+ + quelle donne ch’ànno il cor gentile . . . calo da pariando umile

preghin colei per cui ciascuna vale

che taccia tosto il mio pianto mortale (1).

Proprio nel momento in cui domandava l’intercessione di queste « donne » avrebbe detto loro, con una grossa « gaffe», precisamente questo, che cioè esse valevano qualche cosa soltanto per merito di let! Ma gli adepti (le donne alle quali la poesia era diretta) non potevano offendersi perchè sapevano benis- simo che il loro valore derivava tutto dalla Sapienza santa, alla quale tutti Servivano.

Guido Orlandi diresse una volta a Guido Cavalcanti un sonetto nel quale gli chiese : « Onde si move e donde nasce amore ? ». Conosciamo la risposta di Guido Cavalcanti che comincia : « Donna mi prega perch’io voglia dire » e chi l'aveva pregato era evidentemente un uomo (2).

Orbene, tutte queste stranezze delle quali, se ben si badi, la più grave nel campo della psicologia e nel campo della interpretazione realistica sarebbe quella di fare delle donne, non di una donna, ma di molte e indefinite le confi- denti e intermediarie per un amore del quale d’altra parte st pretende di tenere assolutamente nascosto a tutti il sacro oggetto, e di attribuire a queste donne, amiche o compagne che siano, il riconoscimento chiaro e proclamato della su- periorità della bellezza e della grazia di un’altra e la sua signoria, tutte queste stranezze, dico, non son più affatto stranezze sol che si assuma l’ipotesi che con la parola convenzionale « donne » tutti costoro abbiano inteso di designare nascostamente i compagni « Fedeli di amore » e ugualmente devoti come loro alla Sapienza santa ; in una parola sola : gli adepti.

Ho osservato la palese contraddizione nella quale si mostra impigliato Dante quando dice che l’amore è cosa da non parlarne ad altri che alle donne proprio in un libro che è dedicato ad un womo e mentre scrive una quantità di versi dedicati ad uomini e parlanti del suo amore. Ma questo non è che un aspetto di quella vasta, di quella enorme contraddizione che ci presenta tutta questa poesia presa nel suo senso letterale, in quanto in essa le continue preoccupazioni di tener segreto il proprio amore e le imprecazioni contro quelli che vorrebbero scoprirne l'oggetto si intrecciano con una quantità di poesie che mandano ambasciate a madonna per mezzo di tante altre donne. Ma insomma, tutte queste donne, amiche, ammiratrici, scolare o cameriste che

(1) G. ALFANI: Ed. cit., pag. 89.

(2) Alla rubrica del sonetto: Onde si move e donde nasce amore è stato poi na- turalmente aggiunto per spiegare il fatto, che era scritto a nome di una donna, cosa che dal sonetto stesso non appare in alcun modo.

604 CAPITOLO SECONDO

fossero, lo sapevano o no chi era Madonna ? E se non lo sapevano a chi por- tavano le ambasciate ? E se lo sapevano come poteva essere il poeta così sciocco da tenere tante linguacciute intermediarie per un amore così delica- tamente segreto ?

E un problema che ha fatto sprecare molto inchiostro ai poveri interpreti realisti, i quali lo avrebbero certamente risparmiato se avessero soltanto conosciuta l’ipotesi del Rossetti invece di dargli del pazzo senza leggere i suoi scritti.

Quando si veda l'identità da lui posta : donne = adepti, allora diventa chiaro che esse sono persone elettissime che hanno (ed esse sole) intelletto d’amore e nello stesso tempo sono umilissime verso la Sapienza santa, allora si comprende come Dante dica che del suo amore non ne parla altro che con le donne, mentre ne parla con i suoi compagni « Fedeli di amore » che erano maschi, allora si comprende come esse debbano essere l’oggetto degli sfoghi amorosi del poeta per madonna Sapienza e come siano dispostissime a chia- marla senza ombra di gelosia « nostra donna » e si comprende come e perchè Guido Cavalcanti, pregato di dire che cosa è amore da Guido Orlandi, che è un « Fedele d’amore », passando inavvedutamente o no alla terminologia se- greta, incominci : « Donna mi prega perch'io voglia dire ». E si comprende anche perchè Dante dica che si può essere «in diverso grado fedeli di amore ». Le donne (i « Fedeli d’amore ») sono assise, secondo dice Dino Compagni, intorno a Madonna « per settimi gradi », come per sette gradi son divisi e ordinati gli adepti di quasi tutte le vecchie società segrete, come per sette gradi sono divisi, come vedremo, i sottostanti all'amore nella immagine rivelatrice dipinta dalla mano di Francesco da Barberino, nella quale io ho ritrovato la con- ferma di tutto ciò che qui diciamo.

6. LE DONNE SOMIGLIANTI A MADONNA. Altra particolarità stranis- sima delle donne amate dai « Fedeli d'amore ». Esse hanno qua e per il mondo certe altre strane donne che somigliano a loro tale e quale. Gli amanti, girando per questa o quella città, incontrano queste copie della loro donna e se ne innamorano e quel che è anche più strano lo fanno sapere subito all’ori- ginale, oppure fanno sapere alla copia che si sono innamorati di lei per amore dell'originale. Tutte cose che tra uomini innamorati di donne vere non usano o per lo meno non sono affatto corrette e tutt'altro che gradite alle donne vere.

Questo fatto che nell'ordine realistico sarebbe per lo meno sconveniente, nell’ordine delle idee convenzionali è assai semplice e chiaro. Il poeta viag- giando viene a contatto con un’altra setta o con altro gruppo settario che la le idee perfettamente analoghe a quello al quale appartiene, ed egli informa con questo semplicissimo artificio la sua setta o la setta nuova di tale avvenimento.

Si riduce a un fatto di questo genere quel famosissimo e curiosis- simo innamoramento di Guido Cavalcanti per la donna di Tolosa (Tolosa,

LE STRANE DONNE DEI « FEDELI D'AMORE » 65

il vecchio centro dell’eresia albigese) somigliantissima a un’altra donna lasciata a Firenze.

Una giovane donna di Tolosa bell’e gentil, d’onesta leggiadria, tant’ è diritta e simigliante cosa ne’ suoi dolci occhi, de la donna mia... ch’è fatta dentro al cor desiderosa l’anima in guisa che da lui si svia e vanne a lei; ima fanto è paurosa che no le dice di qual donna sia (1).

Egli racconta come questa donna « accordellata e stretta », cioè questa setta raccolta e segreta, lo abbia accolto mentre egli era tanto pauroso da non averle rivelato per prudenza la sua donna di Firenze, cioè la sua setta ori- ginaria. Così Guido mandava una di quelle poesie-informative per dire di aver trovato buona accoglienza in un gruppo settario nella eretica Tolosa.

I contemporanei (che sapevano di che si trattava) ridevano sotto i baffi. Il Cavalcanti che il volgo chiamava eretico patarino aveva detto di partire per andarsene tutto compunto in pellegrinaggio a S. Giacomo di Compostella e poi viceversa, fingendosi malato, si era fermato a Tolosa (Non era mica così sciocco da partire da Firenze dicendo che andava a Tolosa per certe sue ragioni se- grete !). Muscia Salimbeni faceva alquanti lazzi sul viaggio interrotto, ma in- tanto si rivela da un suo sonetto che si era saputo che Guido era arrivato a de- stinazione e che era bene a/bergato. Presso chi ? Ce lo racconta Guido : presso la donna accordellata e stretta che era la setta di Tolosa e che Guido chiamò la Mandetta e sulla quale i nostri buoni romantici si sdilinquiscono, perchè Guido seppe mandare i suoi due rafporti informativi in proposito con dei versi molto insignificanti sì, ma molto dolcemente armoniosi e che esami- neremo in seguito.

Muscia Salimbeni scriveva :

Fcci venuto Guido Compostello ? O ha recato a vender canovacci Che va com’oca e cascagli il mantello ? Ben par ch'e sia fattor de’ Rusticacci. È in bando da Firenze od è rubello ? O dotta che il popol nol ne cacci ? Ben par che sappia e torni nel Cavello che s'è partito senza dicer : vacci.

San Jacopo sdegnò quando l'udio ed egli stesso st fece malato ma dice pur che non v'era botio (2). E quando fu a Nimisi arrivato Vendè cavalli e nolli diè per dio E trassesi gli sproni ed è albergato (3).

(1) CAVALCANTI : Ed. cit., pag. 170. (2) Voto. (3) DEL LUNGO: Il disdegno di Guido, pag. 33.

5 VALLI.

66 CAPITOLO SECONDO LE STRANE DONNE DEI « FEDELI D'AMORE »

Ora è veramente un bel caso che l’amico di Guido Cavalcanti, Gianni Alfani, capitando a Venezia (un’altra città molto sospetta) abbia trovato egli pure un’altra donna somigliantissima alla sua antica e abbia cantato per lei, ma confondendo in modo sconvenientissimo i due amori.

De la mia donna vo’ cantar con voi, madonna da Vinegia, però ch’ella si fregia d’ogni adorna bellezza che vo’ avete. O lasso, quanto è suto il mio dolore poscia, pien di sospiri, per li dolci desiri che nel volger degli occhi voi tenete! (1).

Tutti capiscono che una veneziana vera lo avrebbe, più o meno corte- semente rimandato alla donna fiorentina.

Ed è caso anche più mirabile che anche Ser Ventura Monaci, amico di tutti e due, abbia subìto proprio la stessa sorte. Egli fa sapere:

novo gli occhi miei per accidente una donna piacente miraron perchè mia donna simiglia. Et qual che sia cagion dfl suo consente sua figura lucente con vaga luce a me porse le ciglia (2).

E si noti che quel « di nuovo » se si intenda come « un’altra volta », ci fa pensare che di tali donne simiglianti ne avesse già trovata qualche altra. Qui non basta maravigliarsi o parlare di «caso ». Questo fatto raro e, anche quando accade, non mai così sfacciatamente manifestato, si rivela in tre di questi amici. Negli altri innamorati in genere, quelli innamorati delle donne vere, non accade o se per caso accade, si tace. Il calcolo delle probabilità esclude che si tratti di un caso. Lasceremo ai critici « positivi » di cavarsela, al solito, dicendo che «era una moda », «una bizzarra moda del tempo! ». |

(1) G. ALFANI: Ed. cit., pag. 93. (2) R. A., Cod. Casan,., d. v. 5, 188.

CAPITOLO TERZO

. L'ipotesi del gergo nella poesia d’amore e la sua verosimiglianza

Ho enumerato ed illustrato assai brevemente un certo numero di fatti, che restano molto strani e addirittura inesplicabili se si supponga che questa poesia d’amore sia veramente poesia d'amore per delle donne reali più o meno angelicate, e che invece diventano chiari e spiegabilissimi se si supponga che questa poesia contenga un gergo convenzionale ed esprima pensieri e sentimenti riguardanti l’amore per la Sapienza mistica e la vita ini- ziatica di una setta.

Con questa ipotesi e soltanto con questa ipotesi, diventano pienamente comprensibili :

I) Lo stretto rapporto personale di questi poeti che fanno all’amore, si può dire, tutti insieme. i

2) La voluta e irragionevole oscurità e artificiosità di un gran numero delle loro poesie che, se fossero veramente d’amore, non avrebbero nessuna ragione di essere oscure.

4) L'esistenza innegabile in alcune delle loro poesie di un gergo conven- zionale che si estende evidentemente anche sotto a quelle più chiare e che è puerile affermare sia un gergo « puramente letterario », specie quando si debba confessare di non averlo ancora interpretato.

4) La dichiarazione di Dante che la poesia volgare trattando di ma- teria d'amore ha però un verace intendimento.

5) I rapporti evidentemente gerarchici che si rivelano fra questi « Fe- deli d’amore » e l’ingerenza che ciascuno ha nell’amore dell’altro, assurda nell'ambiente del vero amore.

6) L'’affinità evidente delle idee e delle tendenze politiche e religiose tra questi « Fedeli d’amore » (in contrasto col fatto che altrove gli innamorati appartengono a tutti i partiti) e la stretta unione di essi.

7) Quel « misterioso » amalgamarsi dell'amore con l’idea morale e con l'idea religiosa e talora politica che evidentemente vengono a far tutt'uno.

Inoltre abbiamo visto che soltanto con l’ipotesi che la donna di questi poeti sia la mistica Sapienza (0, per traslato, la setta che la coltiva) si spiegano gli stranissimi caratteri di questa donna.

68 CAPITOLO TERZO

1) Soltanto con questa ipotesi diventa comprensibile che per tanto tempo questi poeti abbiano potuto cantare delle donne assolutamente prive di ogni carattere personale, senza nessuna fisionomia propria, delle donne che le ricerche storiche non sono riuscite mai ad afferrare come reali, quantunque qualcuno si sia illuso di afferrare la realtà storica di una di esse (Beatrice) fondandosi proprio sulle testimonianze artefatte che venivano dalla setta.

2) Si spiega lo stranissimo carattere di queste donne le quali sono tutte (contrariamente ad ogni verosimiglianza realistica) safientissime, e si spiega come due di queste donne contemporaneamente ci si presentino ad un certo punto come chiara personificazione della Sapienza e cioè l’Intelligenza di Dino Compagni e la Beatrice di Dante, e come la donna del Guinizelli appaia arti- ficiosamente assimilata alla Intelligenza de lo cielo e l’amore del quale parla il Cavalcanti sia rivelato come Intelligenza attiva che prende loco nell’intelletto possibile, cioè Sapienza.

3) Si spiega il fatto che le diverse donne amate dai poeti, in alcune impru- denti e distratte parole di essi vengano rappresentate come una donna sola.

4) Si spiega perchè questi amanti, ed essi soli, e questa « madonna », siano circondati da quelle strane « donne » che fanno da intermediarie, da con- solatrici, da giudici, che rispondono ai versi dell’innamorato, che riconoscono come nostra donna la donna del poeta, ecc., tutto come se, invece di essere donne, fossero proprio compagni e correligionari del poeta nel culto per una idea.

5) Si Spiega perchè tanto spesso questi poeti facciano sapere di es- sersi innamorati di donne somiglianti alla loro donna e ciò per far conoscere i rapporti da essi stabiliti con gruppi settari affini al loro.

Con questo io non ho fatto che mettere in luce un primo $iccolissimo gruppo degli innumerevoli indizi che convergono verso la mia tesi, indizi che non potrebbero essere registrati tutti e diffusamente senza estendersi in enormi volumi. Credo che essi bastino a suscitare o meglio a risvegliare in ogni spirito obbiettivo il legittimo dubbio sulla consistenza di quella interpretazione realistica che la critica tradizionale ci ammannisce. E dico con intenzione « risvegliare » perchè tale dubbio è stato sempre în fondo all'anima di ogni lettore di queste poesie ed è soltanto represso dagli artifici della critica « positiva » e dalla pesante autorità con la quale imponeva, specie nelle scuole, i suoi 2riconsistentissimi risultati. A questi argomenti se ne possono aggiun- gere infiniti altri: il più grave di tutti però, sarà sempre la nuova e diretta impressione che avrà ogni lettore spregiudicato quando si rimetterà a scor- rere la massa di queste poesie (mon le poche scelte per le antologie delle scuole con criteri estetici), nella luce di questa ipotesi. Allora in ogni parte delle canzoni, dei sonetti, delle ballate, nelle slegature dei versi, nelle oscurità volute, nelle formule fredde, nel convenzionalismo evidente, nello slega- mento apparente delle corrispondenze fra poeti che nel pensiero segreto sono d'accordo e nelle forme esterne no, in tutto il complesso di queste poesie

L'IPOTESI DEL GERGO NELLA POESIA D'AMORE, ECC. 69

il lettore sentirà con una diretta e invincibile certezza, il grandioso, conti- nuato, monotono artificto e sentirà come una vecchia benda cadere per sempre dai suoi occhi.

I. IL VERO SIGNIFICATO DEI MOTIVI RICORRENTI NELLA POESIA D'AMORE. Con l'ipotesi assunta apparirà tutto naturalissimo quello che dinanzi a questa lettura ci sorprende e ci lascia perplessi. Con essa il lettore compren- derà che tutti i motivi più comuni, più triti, più monotoni di questi poeti, quelli sui quali essi insistono in maniera, diciamo francamente, così w#0î0s4, sono motivi mistici che, come tali, rivelano una grandissima importanza ed una profondissima vita.

Allora si spiegherà perchè tanto spesso questi amanti ripetano che madonna « è venuta dal cielo », che è «cosa di cielo » e che «deve condurre al cielo » e simili espressioni che, usate per la Sapienza mistica, sono non solo perfettamente a posto, ma ben significative e profonde e usate per una donna qualunque sono scialba e vuota rettorica, come sarebbe vuota rettorica l’idea che questa donna fa trasumanare o l’idea che «non può mal finir chi l’ha parlato » come dice Dante.

Allora si spiegherà perchè tutti questi innamorati insistano così ripetu- tamente e noiosamente sul fatto che madonna «non si può guardare », che è impossibile sopportare la sua veduta, che dinanzi ad essa l’uomo « dbassando il viso tutto smuore» (Dante), e simili. Essa è la Sapienza santa, inattingi- bile nella sua profondità infinita e che riluce all’intelletto sì, ma in modo che lo sopravanza infinitamente. Per questo Amore « dice di lei cose che trascen- dono 1l pensiero umano » e che l'uomo «non può ridire ». Anche queste che nel senso reale sarebbero gonfiature ampollose, sono nel significato vero profonde e altissime cose.

Si spiegherà come l’innamoramento di tutti questi « Fedeli » sia sempre subitaneo e violento. La Sapienza santa è «l'eterna luce che vista sola e sempre amore accende » (1). Chi la conosce non può non innamorarsene subito :

E chi mi vede e non se ne innamora d'amor non averà mai intelletto (2).

Ma v'è qualche cosa che sembra attraversare la nostra ipotesi e che la- scerà certo molti lettori dubbiosi : il fatto cioè che tra i « Fedeli d’amore » si parla talora anche di infedeltà alla donna, si dichiara di volersi sottrarre ad essa e sl giunge a volta persino a delle espressioni ingiuriose verso di lei e Verso amore.

Questa difficoltà, apparentemente grave, si dissipa di un tratto non ap- pena si ricordi che il significato della donna è duplice ; che, a quel modo che noi possiamo dire indifferentemente in molti casi « Cristo » o « il Cristianesimo»

(1) Par., V. 9. (2) DANTE: Of., pag. 93.

70 CAPITOLO TERZO

« Maometto » o « l’Islamismo » (Cristo ha vinto, Maometto è sconfitto, ecc.), così, per evidente convenzione fondata sopra un normale traslato, questi « Fedeli d’amore » usavano il simbolo della donna sia per rappresentare la divina Saftenza adorata, sia per rappresentare la setta che l’adorava. Ecco perchè il loro canto variava a volte così stranamente tra l'estasi che ammirava un oggetto sovrumano e i biasimi contro « Amore » e contro la donna.

È di solito la cosa più facile del mondo intendere immediatamente quando la donna significa la Sapienza e quando significa la setta (che si chiama anche « amore ») alla quale il poeta spesso si professa fedele, ma contro l’au- torità e i rigori o gli errori della quale molte volte protesta. Vi sono drammi in tutta questa poesia che sembrano apparentemente insulsi crucci di inna- morati, strani, ingiuriosi, incomprensibili tentativi di un innamorato di cat- tivo umore di distogliere gli altri dall'amore, proteste di non voler più amare e simili; sono tutte polemiche svolte nell'interno della setta, discussioni, insur- rezioni, condanne il cui tono talora aspro e volgare (si ricordi il sonetto di Dante: Amore e Monna Lagia e Guido ed io) contrasta nel modo più palese con il tono serafico e squisitissimo di questo amore.

Gli è che quando voi sentite il poeta parlare in forma estatica, egli ha dinanzi a la santa Sapienza che egli ama e quando egli parla in forma aspra e tumultuosa ha dinanzi a la setta, gruppo come vedremo, tumultuoso e litigioso di uomini d'ingegno ma poco sofferenti della disciplina, gruppo che in verità non concluse mai molto di serio nella vita pratica perchè costituito da buoni italiani del 300, 1 quali prendevano ogni occasione per litigare tra loro. C'è persino, come vedremo, uno di questi « Fedeli » che, vomitando una serie di assurde ingiurie contro tutti gli innamorati, finisce col dire che « Amore ha affibbiato il suo manto a una troia »!

L'ipotesi del gergo e del vincolo settario di questi « Fedeli d’amore » spiega anche perchè così spesso questi poeti sentano il bisogno di riaffermare e di giurare ad Amore e a Madonna che essi sono fedeli, ma che non possono manifestare il loro amore, che c’è chi li raffigura come infedeli, ma che sono fedelissimi nel cuore malgrado le apparenze. É tutto ciò senza che il sospetto contro il quale combattono sia mai bene specificato e concretato. In tutti questi casi l’adepto, obbligato dalla sorveglianza della Chiesa a tenersi lontano dalla setta o dai suoi ritrovi, o a fingersi molto devoto alla Chiesa stessa, protesta però la sua fedeltà alla Sapienza santa, cioè a Madonna e ad Amore.

Si comprende come tanto spesso il poeta si dolga della severità di Madonna contro di lui. È facilissimo riconoscere quando questa severità rappresenta semplicemente la impenetrabilità della Sapienza santa al cui possesso intero il fedele aspira invano (sentimento espresso anche da Dante verso la Donna- Filosofia nel Convivio) e quando rappresenta invece, come accade in molti casi, la severità della setta che biasima o trascura o punisce l’adepto o l’esclude dai riti e dalle cerimonie, come per esempio da quell’indefinito «saluto » (al posto del quale è usata tante volte la parola « salute ») che pone gli amanti

L'IPOTESI DEI, GERGO NELLA POESIA D'AMORE, ECC. 7I

(e soltanto questi amanti) in uno stato di estasi e di commozione indicibile e che fa pensare molto seriamente, come vedremo in seguito, ad un atto ri- tuale e sacramentale che conduce il fedele « ai termini della sua beatitudine ».

Si comprende anche lo stranissimo fatto che tutti questi innamorati parlino di continuo con altrettanta costanza per quanta è la frigidità con la quale ne parlano, della « morte », di una « morte », che come vedremo bene in seguito, si presenta quasi sempre fuor di luogo, è descritta nella maniera più strana, vituperata in forma talvolta ridicola e che non è niente affatto la « morte », bensì la Chiesa corrotta, nemica di Amore, morte comune, errore in- tellettuale contrapposto alla Sapienza santa che è « vita »!

Vedremo quale fecondissima corrente di pensieri mistici e di artifici questa poesia abbia saputo trarre dal fatto che essa chiamava con una grande abilità (che in fondo però non faceva altro che seguire il linguaggio mistico di tutti i tempi) « morte » tanto l'errore che ci allontana dalla verità, quanto quella « vita nuova » che è morte all’errore e che consiste invece nel morire in Cristo, rinunziando all’errore e al peccato o nel trascendere la vita in contempla- zione e cioè nella « mistica morte », che è vera vita.

Si comprende anche, secondo la nostra ipotesi, come e perchè di fronte alla donna amata purissima e santissima, stiano opposizioni che tentano di distoglierne l'amante ; sono le opposizioni e gli ostacoli della Chiesa di Roma che impedisce all’adepto di venerare la verità santa e che talora è raffigurata come un’altra donna che tenta di sedurre l’amante, talora è chiamata oltrechè « morte », « gelosia », talora è chiamata « pietra » e con altre strane designazioni.

È questo un complesso di induzioni, dinanzi alle quali uno studioso serio non può rifiutarsi di considerare con la dovuta obbiettività l'ipotesi del gergo.

2. LA CONVERGENZA DEGLI INDIZI VERSO L'IDEA DEL GERGO MISTICO. Quella ipotesi del resto potrà molto meravigliare soltanto perchè essa è del tutto estranea ai manuali di letteratura venuti fuori da quest’ultima generazione di critici « pogglivi », ma non può meravigliare affatto chi dia uno sguardo ve- ramente ampio e limpido al complesso della vita e del pensiero medioevale.

Un tale sguardo ci mostra che verso la mia tesi convergono inconsape- volmente una quantità di idee e di conoscenze moventi dai campi più diversi e che in questi ultimi tempi si sono sempre meglio chiarite.

Quando io ripeto che nella poesia dei « Fedeli d’amore » in generale, in quella dei poeti del « dolce stil novo » in particolare, si era infiltrato un gergo segreto per celebrare, sotto l'apparenza della donna, la Sapienza santa, io non faccio se non proclamare una verità verso la quale convergevano, senza che la critica positiva se ne accorgesse, altre verità notissime e accettatissime che devo- no essere semplicemente estese per giungere alla mia tesi.

1) Tutti sanno e riconoscono che vi è un simbolismo della donna -Sa- pienza diffuso nei libri pseudo-salomonici della Bibbia, diffuso nei misteri

72 CAPITOLO TERZO

antichi, diffuso nella tradizione filosofica dell’alto Medioevo (si ripensi a Boezio che è consolato da una filosofia, che ha figura di donna e parla come una donna).

Basta fare un passo per ammettere che questo simbolismo ispirò anche la oscura e involuta dottrina dei « Fedeli d’amore ».

2) Tutti sanno che proprio questo simbolismo della donna-Sapienza e della donna-Divinità ispirò la poesia dei « Fedeli d'amore » in Persia, i quali usarono proprio il gergo convenzionale erotico per esprimere le idee mistiche e, oltre al simbolo della donna, adoperarono anche il simbolo del vino e il simbolo del giovinetto amato, e molti, dopo le prime rivelazioni del Rossetti, hanno riconosciuto che tale simbolismo penetrò con qualche venatura anche nella poesia d’amore dei poeti di lingua d’Oc e di lingua d’Oil, influenzati probabilmente attraverso i Manichei e i Templari dal misticismo arabo- persiano.

Ebbene, basta fare un passo per giungere all'idea che anche i poeti d’amore italiani usarono il simbolismo segreto della donna-Sapienza per esprimere nel gergo amoroso convenzionale idee mistiche religiose.

3) Tutti sanno che delle donne del « dolce stil novo », una, Beatrice, è nella Divina Commedia indiscutibilmente il simbolo della Sapienza santa venuta in terra sul Carro della Chiesa che era fatto per portare lei, ma che invece, fu corrotto dai beni mondani (le penne dell'Aquila) e quindi sfondato dal demonio (il drago), e porta ora al posto di lei una meretrice, scienza delle cose divine corrotta e asservita al potere della terra (il Gigante) (I).

Ebbene, basta fare un passo molto logico e molto breve per ricono- scere che Beatrice doveva essere figurazione della Sapienza santa anche nella Vita Nuova, come del resto è stato limpidamente dimostrato dal Perez e poi dal Pascoli.

Tutti sanno d’altra parte che un altro poeta del gruppo, Dino Compagni, cantò sotto la figura della donna amata la misteriosa Intelligenza, che è ap- punto la stessa Sapienza, e riconoscono come amalgamato con idee e dot- trine mistiche l’amore del Guinizelli e del Cavalcanti. i |

Basta fare un passo per comprendere che le altre donne : Giovanna di Guido, Lagia di Lapo, Selvaggia di Cino e simili, che si ritrovavano insieme con Beatrice e somigliavano a lei in tutto e per tutto, avevano lo stesso carattere simbolico.

4) Tutti sanno che tra le poesie dei « Fedeli di amore » ve ne sono di quelle apparentemente chiare, di quelle in parte oscure e di quelle assoluta- mente incomprensibili. Per queste ultime anche la critica tradizionale suole dire, senza dare alla cosa però troppa importanza, che esse sono scritte in un « gergo OSCUrO ».

Ebbene, basta fare un piccolo passo, imposto a mio parere dal

(I) Purg., XXXII.

L'IPOTESI DEL GERGO NELLA POESIA D'AMORE, ECC. 73

senso comune, per riconoscere che, non solo esisteva il gergo dei « Fedeli d’amore », ma che esso si estendeva d? regola a tutte le poesie di questi amanti (con le eccezioni che osserveremo poi) e che essi non scrivevano di regola a significato semplice e qualche volta, non si sa perchè, in un gergo oscuro, ma che essi scrivevano di regola in gergo e per una ragione molto seria, e qualche volta riuscivano a sovrapporre elegantemente al significato mistico un signi- ficato letterale che aveva una sua logica, una sua grazia, una sua eleganza, e qualche volta non ci riuscivano. Nel primo caso le poesie risultavano chiare e qualche rara volta belle, nel secondo caso invece, le poesie, fatte in fretta o mal fatte, restavano nel senso letterale oscure, involute, incomprensibili o sciocche. Caso tipico il sonetto di Cino da Pistoia: Perchè voi state forse ancor pensivo (1).

Pertanto la tesi che sbalordiva il Carducci e che ha già fatto raccapric- ciare e fremere molti dei miei lettori, secondo la quale tutta questa poesia d’amore è di regola scritta in gergo ed è poesia mistica in ambiente iniziatico, si delinea semplicemente con brevi e giustificatissime estensioni di conoscenze che già avevamo e che sotto gli occhi mirabilmente incomprensivi della cri- tica « positiva » convergevano (qui sta il fatto importante) verso quella tesi.

Questa ipotesi sorge da un ricollegamento di idee chiaro semplice e per- fettamente legittimo.

È cosa nota e indiscussa che l’antichità e il Medioevo avevano simboleg- giato in una donna la Sapienza Mistica. Dal Cantico dei Cantici al De Conso- latione Philosophtae di Boezio, la Sapienza era stata pensata nell'immagine della donna amata. Che c’è di strano a supporre che altrettanto abbiano fatto anche i « Fedeli d’amore » ?

E appena si faccia questa supposizione si trova che infatti i « poeti d'amore » persiani e probabilmente anche quelli provenzali nelle loro finte parole d'amore esaltavano talora una essenza mistica santa o una idea divina. E si presenta come perfettamente legittimo il sospetto che potessero fare altrettanto i « Fedeli d’amore » italiani.

E appena venga questo dubbio si trova che infatti Dante nella Divina Commedia ama e cerca non una donna, ma, sotto figura di una donna, proprio la divina Sapienza ; ed è perfettamente legittima la domanda : Non cercava egli e non amava la divina Sapienza anche nella Vita Nuova? Ed infatti il Perez risponde e dimostra limpidamente che cosî è. Ed io aggiungo che così è anche per altri amici di Dante, come per Dino Compagni, il quale chiama apertamente la sua donna l’Intelligenza dicendole una quantità di cose dolci e appassionate e parlando della sua « gola bianca » e della « bocca picciolella », e che ugualmente come amore per l’Intelligenza o la Sapienza si presenta l’amore del Guinizelli e del Cavalcanti.

(1) CINO DA PISTOIA: Rime, ed. cit., pag. 43.

74 CAPITOLO TERZO

Come non formulare l'ipotesi che futto questo amore sia amore per la, mistica Sapienza ?

Ed ecco che ‘infatti quando andiamo a vedere le interpretazioni reali- stiche di queste poesie troviamo i letterati impantanati in una massa di pro- blemi insolubili e invischiati nelle ipotesi più contradittorie. Troviamo che tutti ci dicono che nel « dolce stil novo » l’amore sa di misticismo, che è una cosa quasi religiosa, che è un'amore per esseri trascendenti e superumani, ma nello stesso tempo, ipnotizzati dalla lettera che uccide, insistono a voler dire che questi esseri trascendenti e superumani sono domne che camminano per la terra. Tutti ci dicono che tra queste poesie alcune sono evidentemente in wn gergo incomprensibile, altre sono così oscure che da sei secoli non se ne capisce nulla, altre, aggiungo io, sono così mescolate di dottrinarismi che se fossero capitate veramente in mano ad una donna vera l’avrebbero fatta arrossire, altre, aggiungo ancora, sono così melense, così monotone, così stu- pide nel loro senso letterale che per l'onore di chi le scrisse bisogna pen- sare che dovessero avere un senso recondito più serio.

E avanti a questo fatto non abbiamo il diritto di affrontare seriamente l'ipotesi che ci sia qui sotto tutta una corrente di pensieri mistici ed un lin- guaggio convenzionale ?

Dato l’ambiente in cui si sviluppa questa poesia, dato il fervore di vita mistica e religiosa che vi è intorno, data la grande opera a base di amore inistico che da essa emerge : la Divina Commedia, date le dottrine sull’arte prevalenti nel tempo, che tutte convergono nel concetto dell’arte simbolica e a sensi profondi e molteplici, dati gli innumerevoli richiami e confessioni di simbolizzare nella poesia d'amore che si dichiara sempre incomprensibile per la «gente grossa », la tesi del suo carattere erotico realistico potrebbe essere sostenuta forse ancora a una condizione sola, che quella poesia mostrasse una così limpida e realistica passionalità da presentarsi come espressione diretta di un sentimento d'amore : ma quello che si verifica è perfettamente il contrario. Questa poesia è quasi sempre gelida, è piena di cose incomprensibili e intrec- ciata con evidenti simbolismi e con formule convenzionali e quasi rituali.

Io ho detto che basta fare un passo in avanti da molte posizioni già conquistate dalla critica per arrivare di necessità a convergere sulla mia tesi. È preziosissimo a questo proposito un periodo col quale Benedetto Croce riassume la genuina impressione che fa la lirica di Dante a chi si metta a ri- leggerla cercando solamente la poesta e senza tener conto delle idee fatte e dei fanatismi convenzionali. Egli dice :

« Piuttosto che poesia, i componimenti danteschi giovanili e non solo «i primi nel vecchio gusto, ma anche le rime posteriori alla canzone che egli «designa come il vero principio del suo stil nuovo (Donne che avete intelletto «d’amore) e le altre ancora non incluse nella Vita nuova si direbbero atti «d’un culto, adempimenti di riti, cerimonie, drammi liturgici, in cui l’amore e gli « altri effetti e operazioni dell’anima sono personificati e la donna-angelo si

L'IPOTESI DEL GERGO NELLA POESIA D'AMORE, ECC. 75

«comporta in questo e quel modo verso l’innamorato, il quale ha attorno, «nelle sofferenze che sopporta e nelle azioni che compie, spettatori e spetta- « trici compassionanti e soccorrenti » (I).

Tutto ciò è verissimo ed è vero non solo per la lirica di Dante, ma anche per la maggior parte delle altre liriche del « dolce stil novo » le quali tutte «si direbbero atti d’un culto, adempimenti di riti, cerimonie, drammi litur- gici ». Ebbene da questo punto dove è arrivata per conto suo la critica este- tica non c'è da fare che un passo dicendo : « Queste poesie sono... precisamente quello che sembrano, cioè atti d'un culto, adempimenti di riti, cerimonie, drammi liturgici »! Se le parole nascondono il vero carattere di questa poesia tentando di farla apparire alla « gente grossa » poesia d’amore, l'impressione immediata genuina e diretta che essa tradisce perfettamente, come si vede, la sua vera natura. Ed è ovvio che ciò avvenga perchè è più facile cambiare convenzio- nalmente il senso di una parola e scrivere « Beatrice » invece di « mistica Sapienza », che non cambiare il carattere generale della commozione che ci questa Sapienza esprimendo come una vera commozione erotica quella che è una commozione mistica o facendo un racconto d’amore di quello DE è vera- mente un dramma liturgico !

Il riconoscimento di questo vero carattere della poesia d'amore di Dante attraverso l'impressione diretta della lettura è tanto più importante in quanto il critico che lo ha esposto non crede niente affatto che si tratti di materia mistica e alle idee del Rossetti (che mostra di non avere menomamente appro- fondito) non accenna che con uno dei soliti scherni.

I,a mia idea rivoluzionaria dunque, mentre sembrerà portare nella inter- pretazione di questa lirica qualche cosa di inaudito e di strabiliante, finirà col dire semplicemente che la lirica d'amore di Dante e dei suoi compagni è pre- cisamente tale quale un lettore spregiudicato la sente, non quale vuole apparire alla « gente grossa » e quale la critica volgare l’ha ritenuta, cadendo nel giuoco che per la «gente grossa » era ordito.

E non si meravigli il lettore se io aggiungo questo strano paradosso : che quando noi avremo dimostrato che questa lirica è scritta in gergo, la ri- troveremo qualche volta più bella e più spontanea. Proprio così! perchè al- lora andremo a toccare la vera emozione che l’ha suscitata e non quella scorza di parole convenzionali della quale si è coperta, e vedremo che molte volte, come nelle Pietrose di Dante, l’espressione del sentimento è perfetta se st badi al sentimento vero e profondo (mistico), imperfettissima e talvolta strampalata solo se ci si tenga alla terminologia erotica artificiosamente sovrapposta.

(1) CROCE: La poesia di Dante. Bari, 1921, pag. 35. Qualche pagina dopo il Croce scrive: «La Vita Nuova è scritta al modo di un libretto di devozione, con «chiaro intento pio e con procedimenti conformi: Dante lo ha composto a memoria «e onore di una santa a lui particolare, della donna-angelo, della Beatrice, che egli «aveva cantata » (pag. 4I).

76 CAPITOLO TERZO

3. PENSIERI LIMPIDI, PENSIERI OSCURI, PENSIERI ASSURDI NELLA POESIA D'AMORE. Un indizio potentissimo della esistenza di questo gergo risulta per me da una specie di statistica che io ho fatto delle espressioni più o meno felici, più o meno limpide di pensieri che ci offre questa poesia d'amore.

Forse il dieci per cento sono pensieri d’amore limpidi, chiari, bene espres- si, ma che con la massima facilità, come vedremo, si traducono in pensieri mistici. Esempio :

Ne li occhi porta la mia donna Amore, per che si fa gentil ciò ch'ella mira (I).

Parole graziose e ben composte per esprimere l’effetto dello sguardo di una donna gentile, ma perfettamente a posto se debbano esprimere invece /a virtù della Sapienza santa che ingentilisce 1 cuori di tutti coloro ar quali essa giunge.

Dopo questi v'è un’altra classe di pensieri che sono limpidi e profondi nel senso mistico ma alquanto forzati, arbitrari, oscuri, illegittimi nel senso letterale. Esempio :

Al cor gentil ripara sempre Amore (2).

oppure : Amore e ’1 cor gentil sono una cosa (3).

Nel senso letterale queste parole dicono cosa non esatta, non limpida, perchè tutti sappiamo che un cuore può essere gentilissimo anche prima di essere innamorato. C'è qui dunque evidentemente una forzatura della idea. Invece nel senso mistico il pensiero è bellissimo e profondo. L'anima gentile cioè l’anima appena è fatta pura è di necessità presa dall'amore per la Sapienza santa, e la Sapienza santa non può essere amata dall'anima se non in quanto è pura. È un altissimo pensiero di S. Agostino e che risuona in tutta la mistica di tutti i tempi come eco della parola del Vangelo: « Beati i puri di cuore perchè vedranno Iddio ».

Un altro esempio di questi pensieri significanti e profondi secondo il gergo mistico, goffi o strani nel senso letterale. Nel sonetto del quale ho par- lato sopra: Ne li occhi porta la mia donna Amore, c'è una frase che ha fatto scervellare i critici realistici :

Ogne dolcezza, ogne pensero umile

nasce nel core a chi parlar la sente, ond’è laudato chi prima la vide (4).

I critici realistici a chiedersi : Chi è questo laudato ? La madre di Beatrice ? La levatrice ? Quello che dice per primo : Eccola ! quando apparisce per la strada, e tutti gli altri dopo gli dicono : Bravo ? Tutte spiegazioni goffe e che

(1) DANTE: Od., pag. 25. (2) G. GUINIZELLI in VALERIANI: O, ctt., vol. I, pag. 91. (3) DANTE: Od., pag. 24. (4) DANTE: OP. pag. 25.

L'IPOTESI DEL GERGO NELLA POESIA D'AMORE, ECC. 77

soprattutto non spiegano perchè costui sia laudato in quanto le parole di Beatrice suscitano dolcezza e pensieri umili in chi l’ascolta.

Passiamo invece al significato segreto : Beatrice è la Sapienza santa. Essa parla sulla bocca dei maestri che la trasmettono agli adepti. Le parole di questa Sapienza danno dolcezza e pensieri umili, onde è che coloro che videro quella Sapienza per primi, cioè i saggi che con la loro parola la trasmettono, ne sono lodati e onorati.

Significazione profonda, limpida, seria.

Questi pensieri che sono stati forzati nel piano letterale per esprimere idee mistiche e che quindi sono limpidi e profondi nel piano mistico e iniziatico, infelici e talvolta goffi od oscuri nel piano letterale, costituiscono secondo me forse 2) settanta per cento di tutta questa poesia.

Il rimanente venti per cento è costituito da pensieri che nel piano let- terale sono addirittura dei non sensi, delle assurdità, delle scempiaggini o delle contraddizioni o delle melensaggini e che invece soltanto nel linguaggio con- venzionale hanno un significato serio. Per esempio:

.. mio camino a veder follia torsi; e per mia sete temperare a sorsi, chiar'acqua visitai di blando rivo (1).

Che nel senso letterale non significa nulla, nel gergo in cui « follia » significa, come vedremo, i « nemici della setta », «acqua chiara » significa « scuola della setta », «luogo dove si insegna la dottrina della setta », suona chiaramente : «Sappiate che per la strada dove andavo ho incontrato degli avversari, allora «ho cambiato cammino e sono andato dove vi era una scuola dei nostri ».

Ora è evidente che i realisti possono compiacersi di quel diect per cento di idee limpide e bene espresse, devono contorcersi in molte dubbiezze per spiegare, restando nel piano letterale, la enorme maggioranza di quelle altre idee forzate, stiracchiate, goffe, fredde, che costituiscono la grande mag- gioranza dei pensieri di queste poesie e devono rinunziare addirittura ad in- tendere davanti all'ultimo gruppo di pensieri, annotando come spesso fanno ca i critici realisti: «Qui non s'intende perchè scritto in gergo oscuro, secondo la strana moda del tempo ».

Ebbene, l’intepretazione nostra invece, riesce, come vedremo, a spiegare nella loro profondità i pensieri che non hanno nel piano letterale alcun senso, riesce a liberare idee profonde dalle immagini d’amore spesso goffe o inadatte e riesce a ritrovare nella loro essenza mistica anche quei pensieri che hanno as- sunto una veste esteriore armonica ed elegante e che sono quel tale dieci per cento circa che costituisce le poesie belle e soprattutto riesce ad eliminare quella goffa annotazione : « gergo oscuro secondo la moda del tempo ».

Non solo, ma se dinanzi a noi resta ancora qualche oscurità, il fatto di-

(1) CINO DA PISTOIA: Rime, ed. cit., pag. 143.

78 CAPITOLO TERZO L'IPOTESI DEL GERGO, ECC.

viene spiegabilissimo perchè riconosciamo di avere a che fare con una setta segreta e con poeti che parlano spesso per sottintesi di avvenimenti che conoscono essi solt, mentre nessuno potrà ammettere come legittime le oscu- rità e le incomprensibilità quando si ritenga che questa poesia abbia soltanto un senso letterale d’amore per le donne.

Ma per intendere veramente che cosa questi poeti si dicessero fra loro, bisogna andare anzitutto a ricercare i precedenti delle loro simbolizzazioni e delle loro ideologie.

CAPITOLO QUARTO

La Donna Sapienza ’’ prima e fuori del dolce stil novo

L’amorosa Madonna Intelligenza, Che fa nell’alma la sua residenza, Che co la sua bieltà m’ha ’nnamorato.

COMPAGNI, L'intelligenza,

Per ricercare i precedenti del movimento e delle simbolizzazioni che vo- gliamo studiare, non è indispensabile e anzi non è prudente spingersi troppo lontani. Sappiamo benissimo che alcune simbolizzazioni mistiche discendono dalla più veneranda antichità, che sono passate attraverso i misteri e che le loro diramazioni più tarde penetrano in tanti movimenti più o meno mistici, più o meno segreti, dai quali è permeato tutto il sottosuolo della storia. Ma queste vaste ricerche, per quanto attraenti, disperdono facilmente le energie e spesso sono poco fruttuose.

Sono poco fruttuose per la semplice ragione che in questi movimenti se- greti e settari certe forme esteriori e magari certe simbolizzazioni permangono o si trasmettono da un movimento all’altro, mentre la sostanza del movimento si trasforma profondamente. Gergo, riti e simboli possono essere simili o identici in movimenti che nello spirito sono lontanissimi tra loro.

Il non aver considerato questo fatto trascinò il Rossetti ad una inda- gine troppo vasta e troppo confusa.

Contro le sue conclusioni io credo di poter affermare, come risultato della mia indagine, che il movimento dei « Fedeli d'amore » anzitutto non è un movimento grettamente politico e ghibellino come egli credette da principio, quantunque per quello stretto legame che la politica aveva con la religione nel Medioevo, esso abbia portato evidentemente quasi tutti i suoi adepti a deter- minati atteggiamenti politici. Quel movimento inoltre se pure qualche filo sotterraneo lo ricolleghi a un antico pitagorismo italico o agli antichi mi- steri, come pensò in seguito il Rossetti, è un movimento profondamente cat- tolico nello spirito, per quanto diretto proprio principalmente contro la cor- ruzione della chiesa carnale. Esso è proprio un fervido appello alla mistica Sapienza incorruttibile contenuta nella Chiesa corrotta.

E basterebbe questo per liberarci da quel grosso errore del Rossetti (uno di quelli che furono fatali a lui ed alle sue idee), per il quale egli vide nel mo-

80 CAPITOLO QUARTO

vimento dei « Fedeli d'amore » uno spirito precursore della Riforma, mentre quello spirito si muoveva in senso del tutto opposto all’individualismo prote- stante, si muoveva nel senso tradizionale della eresia italiana, che tendeva sempre ad affermare la santità fondamentale della Chiesa e la unità dello spi- rito religioso anche quando assaliva violentemente la Chiesa corrotta perchè essa non attuava il suo mandato evangelico originario.

E soprattutto questo movimento non ha nulla a che vedere secondo me (malgrado qualche lontana analogia di forma comune a quasi tutti i movimenti segreti e iniziatici), con la Massoneria modernissima di carattere laico o vaga- mente teista, perchè, lungi dall’aspirare alla libertà e alla laicità del pensiero, culmina nel suo momento più felice nella formula dantesca della Croce e dell'Aquila, formula che santifica l'autorità assoluta della Chiesa (purificata) e dell'Impero.

Io non voglio tediare il lettore costringendolo a rifare con me tutta la strada che mi ha portato alle mie conclusioni. Quando si riscostruisce dai suoi frammenti una statua infranta, si presenta la statua ricomposta : è inutile raccontare per quali tentativi si giunse a ricomporla. Il combaciare perfetto dei frammenti e la significazione dell’insieme sono la sola prova della buona ricostruzione.

Per illuminare la dimostrazione che verrà dopo, io dico subito quale ri- sulta la composizione dell'idea segreta dei « Fedeli d'amore » secondo la mia indagine, la quale indagine se (specie in questa parte) utilizza cautamente anche l’opera del Rossetti e del Perez, è ben lontana dall’accettare tutte le conclusioni e le confusioni del primo e dal limitarsi alle poche cose che di- mostrò (ma assai lucidamente) il secondo.

Il movimento dei « Fedeli d’amore » non si intende, secondo me, se non come il risultato del confluire di cinque diverse tradizioni.

I) Una tradizione più propriamente filosofica che, muovendo dall’Ari- stotelismo interpretato da Averroè, usava rappresentare in figura di una donna «l'intelligenza attiva », cioè quella intelligenza unica e universale (l’in- telletto attivo contrapposto all’intelletto fassivo, che è proprio di ogni indi- viduo), che avviva di l’intelletto dell'individuo ed è quella che lo conduce alla conoscenza delle supreme eterne idee inattingibili coi sensi, quindi alla vera pura contemplazione ed a Dio.

2) Una tradizione mistico-platonica la cui espressione si trova sia nello gnosticismo sia nei libri mistico-platonici della Sapienza e del Cantico dei Can- tict (i libri pseudo salomonici della Bibbia), la quale da secoli e secoli aveva rappresentato la Sapienza che vede Iddio come una donna amata, donna che la tradizione ortodossa, in perfetta logica, interpretava poi come la Sapienza della Chiesa stessa in quanto della Sapienza che vede Iddio (Rivelazione) essa si sentiva depositaria.

3) La tradizione del misticismo cattolico ortodosso che, specie attraverso S. Agostino, Riccardo da S. Vittore ed altri, aveva raffigurato in una determi-

LA «© DONNA-SAPIENZA » PRIMA DEL «DOLCE STIL NOVO » 8I

nata donna della Scrittura e precisamente in Rachele (la vicina e compagna di Beatrice !) la virtù della vita contemplativa, ossia la Sapienza santa oggetto del- l’amore di Giacobbe e, secondo Agostino, mèta e sospiro di «ogni piamente studioso ».

4) Quella tradizione sia ortodossa che eterodossa, la quale dichiarava la Chiesa di Roma corrotta dai beni mondani, tradizione che, quando si mante- neva nei limiti più ortodossi, si contentava di riformare lo spirito e i costumi ciella Chiesa mondana (movimento francescano ortodosso), quando si spingeva a maggiori ardimenti (Catari, Valdesi, movimento francescano eterodosso), dichiarava addirittura la parola della Chiesa corrotta per la corruzione morale della Chiesa stessa e rifiutava ad essa l'obbedienza appellandosi alla Verità o Sapienza incorruttibile rivelata un giorno alla Chiesa, ma della quale questa nella sua manifestazione carnale non era più la vera e degna espressione.

5) La tradizione settaria dell’uso del doppio linguaggio, cioè del discor- rere a doppio senso, per sfuggire alla «gente grossa » e più ancora alla au- torità nemica, tradizione che, largamente diffusa dal Manicheismo in Persia, penetrò naturalmente tra gli eretici che dai Manichei più o meno direttamente discesero (Catari e Albigesi), tradizione affine a quella che aveva generato i « Fedeli d’amore » persiani (mistici esaltatori dell'amore di Dio sotto il velo della poesia d’amore) e che allo stesso modo, nell'ambiente albigese di Pro- venza e negli ambienti ereticali di Francia, penetrò nella poesia d'amore nascondendo sotto di essa pensieri mistici e settari.

Alcune di queste diverse tradizioni già si erano avvicinate tra loro. Ad esempio la tradizione filosofica della « intelligenza attiva » e quella più propria- mente mistica della « Sapienza santa », mentre d'altra parte la lotta contro la corruzione della Chiesa si era legata naturalmente con l’uso del linguaggio se- greto delle sètte. Nel periodo e nelle persone delle quali ci occupiamo, tutte queste tradizioni riconfluirono insieme.

Soltanto quando potremo conoscere con maggiore certezza i particolari di questo interessante substrato della vita del duecento e del trecento, po- tremo meglio determinare quanto dell'una e dell’altra tradizione contribuì a formare la vera dottrina del gruppo a cui appartenne Dante. Certo è che questi diversi elementi tradizionali dominarono in modo non perfettamente identico lo spirito dei singoli « Fedeli d'amore ». Costoro, personalità emi- nenti e di diversa cultura e di diverso temperamento, pure accettando il lin- guaggio convenzionale e riunendosi in un gruppo che ebbe vita tempestosis- sima (scissioni, dispersioni, rinnovamenti e filiazioni infinite e contatti e com- binazioni con altri gruppi analoghi), erano più suscettibili, gli uni alla tradizione più propriamente filosofica (Guinizelli, Cavalcanti, Compagni), gli altri alla tradizione mistica (Dante). Gli inferiori si limitavano per lo più a parlare della donna come figura della setta senza i profondi ardimenti anfibologici con i quali Guido Cavalcanti e Dante diffondevano la gloria della Sapienza santa sotto le parole d’amore.

6 a VALLI.

82 i CAPITOLO QUARTO

Ecco perchè in questa poesia affiora di volta in volta ora l’elemento più propriamente filosofico, ora l'elemento mistico, ora l’attesa apocalittica del rinnovamento venturo (detto in gergo « il tempo verde » o «il tempo novello » in contrapposizione al «tempo freddo » nel quale domina la Chiesa corrotta), ora la preoccupazione e le discussioni puramente settarie, quelle riguardanti si potrebbe dire l’organizzazione e la vita interna della setta, le quali dai vertici dell'amore mistico fanno precipitare infatti la poesia con nostra grande sorpresa) nelle molte aspre contese personali con Amore e tra i « Fe- deli d'amore » e nel pettegolezzo volgare.

Ma non potremo intendere questa confluenza delle cinque tradizioni so- pra indicate senza aver parlato un po’ partitamente di ciascuna di esse.

I. LA « INTELLIGENZA ATTIVA » E LA SUA FIGURAZIONE IN DONNA AMATA. Per quanto riguarda questo argomento io non posso far di meglio che uti- lizzare i capitoli VII, VIII e X del mirabile libro di Francesco Perez La Bea- trice svelata. Ciò potrà mostrare anche meglio che noi, i cosiddetti fazzi fan- tasticatori ricercatori di allegorie e di segreti, camminiamo con passo lento ma regolare da più di un secolo l’uno dietro l’altro, mentre i positivissimi filologi perduti dietro le minuzie delle parole e dietro la falsa autorità dei vecchi commentatori (i quali erano o troppo ignoranti per conoscere bene quel che dicevano o troppo furbi per dirlo), si disperdevano inseguendo le più fanta- stiche e contraddittorie realtà sempre impalpabili.

Il Perez adunque pose e dimostrò la tesi che la Beatrice della « Vita Nuova » st identifica con l'Intelligenza attiva 0 Sapienza. Egli errò, a mio parere, arre- standosi a questa identificazione e non si avvide che gli argomenti che vale- vano per Beatrice valevano perfettamente per le altre donne dei « Fedeli d’amore » somigliantissime a Beatrice in tutto e per tutto e che, come Vanna di Guido Cavalcanti, fasseggiavano con lei e erano della stessa natura.

Ma vediamo un poco che cosa sia questa Intelligenza attiva e quando, dove e come prese figura di donna.

Partendo dal concetto platonico che le idee hanno una loro realtà sepa- rata dagli oggetti e separata dall’intelletto, Aristotile e i Peripatetici si posero il problema del come l'intelletto possa attingere le idee, reali, immutabili, le quali non cadono sotto è sensi. Aristotile stesso aveva pensato nell’intelletto un principio che fosse quasi recipiente e specchio delle idee universali, che avesse cioè la possibilità di intendere queste idee, di rispecchiarle, di pensarle. Egli disse che la natura di questo principio è appunto di essere possibile (I).

Di qui derivò, specie attraverso le scuole alessandrine ed arabiche, la de- signazione di tnfelletto possibile data al principio intellettuale in quanto ha la

possibilità di rispecchiare le idee universali scevre da ogni mistura di particolare e concreto (2).

(1) De Anima, lib. III, Cap.I, te. 5. (2) PEREZ: OP. cit., pag. 146.

LA « DONNA-SAPIENZA » PRIMA DEL « DOLCE STIL NOVO » 83

Ma già Aristotile aveva accennato al fatto che, se l'intelletto possibile rispecchia le idee a quel modo che l'occhio vede le cose, a quel modo che lo specchio riflette le immagini, deve esistere un principio attivo che stia all'in- telletto possibile come la luce sta all'occhio o allo specchio, un principio per il quale cioè la semplice possibilità di conoscere, che costituisce l'intelletto possi- bile, venga in atto. E questo principio diventò quel che si disse la Intelligenza attiva o Intelletto attivo.

Questa Intelligenza attiva sta all’intelletto possibile come la forma alla materia, come l’arte pittorica alla nuda tela, come la luce all'occhio : è ciò che l'essere all’intelletto in quanto lo pone in atto. Le idee universali intelli- gibili vengono rispecchiate nell’intelletto passivo soltanto der opera dell’In- telligenza attiva, come gli oggetti nell'occhio per opera della luce. Fssa è quindi «la luce della mente », est quasi lux : lux enim quoquomodo etiam facit colores, qui sunt in potentia, colores in actu. Essa rivela le eterne idee (I).

« Questa intelligenza, universale, unica, illuminatrice delle menti umane, è separata, estrinseca, immortale, perpetua » (2). « Lo intender per essa è la massima beatitudine cui possa l’uomo aspirare, anzi lo fa più che uomo, di- vino » (3). « Essa è principio di ogni unità riducendo il molteplice all’Uno : è la rettitudine istessa » (4).

La dottrina dell’Intelligenza attiva si sviluppò ampiamente in diversis- sime scuole, sia puramente filosofiche, sia mistico-religiose. Nella linea più rigidamente filosofica si svolse soprattutto presso gli aristotelici arabi. Aver- roè, commentando Aristotile, aveva detto che, come in ogni ente sensibile concorrono due elementi : la materia (possibilità) e la forma (atto), così nell’essere intellettivo concorrono : da un lato l'intelletto possibile o materiale, dall’altro la intelligenza attiva o formale. La tendenza naturale di quell’ele- mento che rappresentava la materia era quella di congiungersi con la sua forma, cioè di acquistare esistenza in atto. Questa tendenza di ogni materia a prendere la forma a lei destinata, era stata più volte dagli scolastici conside- rata metaforicamente come amore. Atto di amore era simbolicamente l’unione della potenza con la intelligenza, della materia con la forma. Ed all’atto di amore venne assimilata quindi la tendenza dell'intelletto possibile a congiungersi con l'intelligenza attiva, a diventare cioè Sapienza in atto (5).

Gli scolastici chiamavano addirittura copulatto (connubio) l'unione del- l'intelletto possibile con l'intelligenza attiva. E Averroè dice: « Intellectus duplicem nobiscum habet copulationem n. « Intellectus in potentia per co-

(1) ARISTOTILE: De Anima, cap. 3, te. 17, 18; cap. 2, te. 14 e passim PEREZ: Of. cit., pag. 147.

(2) Id. sd., cap. 3, te. 19, 20.

(3) Metaphisica, L. XII.

(4) De Anima, Lib. I, cap. I, te. 47; lib. III, cap. 3, te. 22 e te. 51. Vedi PEREZ: Op. cit., pag. 148.

(5) PEREZ: Od. cit., cap. XI.

84 CAPITOLO QUARTO

pulationem cum ‘intellectu agente, intelligendo ipsum, intelligit res abstractas omnes ». « Intelligere est valde voluptuosum » (1). E c'è un opuscolo di Aver- roè che ha per titolo addirittura : Della beatitudine dell'anima e del connubio della Intelligenza astratta con l’uomo, che comincia così : « Trattando di questo nobilissimo tema, è mio intendimento chiarire la massima beatitudine dell’ani- mo umano nella sua suprema ascensione. E dicendo ascensione intendo il suo perfezionarsi e nobilitarsi in modo che si congiunga con la Intelligenza astratta, e siffattamente uniscasi a quella che diventi uno con essa ; e questo senza dubbio è il supremo grado della sua ascensione » (2).

Ma nel commento della Metafisica la figurazione della unione con l’In- telligenza attiva quale amore diventa anche più precisa ed egli scrive : « È opinione di Aristotile che la forma degli uomini in quanto sono uomini non è che per la loro unione con l’Intelligenza, la quale egli dimostra, nel libro De Anima, essere il nostro principio agente e movente. Or le intelli- genze astratte per due modi sono il principio di ciò di cui sono il principio, cioè, secondo che sono moventi e secondo che sono fine. Però la Intelligenza attiva, in quanto è astratta ed è nostro principio è 1npreterebile, che muova noi come l'amata muove l'amante : e se ogni cosa mossa è necessario si congiunga a ciò che è sua causa finale e che la move, necessario è che da ultimo ci con- giungiamo a tale intelligenza astratta.... benchè in noi ciò segua per breve tempo come disse Aristotile » (3).

Di questa « Intelligenza universale » o « Intelligenza attiva » parla lun- gamente anche tutta la scuola tomista dicendo che l’Intelletto possibile nulla intenderebbe se l’Intelligenza attiva non illuminasse gli intelligibili e con quelli lui stesso elevandolo al grado di intelletto speculativo. Il reiterarsi e l’uso di questo modo di intendere fa che di più in più si venga assimilando alla intelligenza universale, tanto da prender forma da essa in modo aderente e du- revole come il diafano dalla luce » (4).

Questa ultima idea è particolarmente preziosa per intendere il mistero della poesia d'amore e comprender come sotto le sue formule si celebrasse ap- punto questo connudio con la suprema qanlelligenza nel quale l'amante si assimi- lava con l'amata, e finiva col dire come Cecco d'Ascoli : « Dunque io son Ella ».

Gli scolastici, dunque, parlavano di questo penetrare che l’Intellisenza attiva fa dell’intelletto possibile assimilandolo al penetrare che fa la luce nel- l'oggetto diafano. Ebbene Guido Cavalcanti, spiegando da che cosa viene l’amore, usava proprio la stessissima formula e aggiungeva che l'Amore nasce da una « forma che prende luogo e dimoranza nell’intelletto possibile come nel suo

(1) Zd. id., pag. 220 e seg.

(2) Id. id., pag. 221.

(3) AVERROÈ : Comm. in Metaph., XII, cap. 2, co. 38, car. 339, I et V. (PEREZ: id. id., pag. 222).

(4) PEREZ: OP. cit., pag. 192.

LA « DONNA-SAPIENZA »® PRIMA DEL « DOLCE STIL NOVO » 85

proprio subbietto » e che quindi, aggiungo io, non può essere altro che l’Intel- ligenza attiva, poichè l’intelletto possibile è il subbietto proprio e soltanto dell’Intelligenza attiva.

Amore ...

In quella parte dove sta memora prende suo stato si formato come Diaffan da lime ...

Vien da veduta forma che s'intende Che prende nel possibile intelletto Come in subietto loco e dimoranza (1)

Dunque Guido, che è il capo dei « Fedeli d’amore », che è « sol colui che vede amore » secondo Gianni Alfani, spiegando che cosa l’amore sia, dice che viene da una forma la quale « prende loco nell’intelletto possibile come nel suo subbietto ». Ma non viene con ciò a dire direttamente che esso è l'unione dell’intelletto possibile con l’Intelligenza attiva ?

Dice che viene formato come il diafano dalla luce. Non ripete la stessa parola con la quale si designava nella filosofia l'unione dell'intelletto possibile con l’Intelligenza attiva, quella unione che era già pensata come amore, come voluptas, addirittura come copulatio ?

E tutto quel complicato dottrinarismo della poesia di Guido Cavalcanti dove sono questi versi non dimostra nel modo più evidente che qui si parla di filosofia mistica e non di amore di femmine ? Rileggeremo questa canzone e vedremo che di amore non ce ne è neppure una traccia.

E quando un altro compagno di amori di Guido e di Dante, cioè Dino Compagni, scrive addirittura un poema su « L’amorosa Madonna Intelligenza Che fa nell’alma la sua residenza » e dice che essa giunge fino all’Empireo, che potestà su tutto ciò che st ama, che tragge l’anima di guerra e simili, dobbiamo pensare che fantasticasse per suo conto da scimunito, o che ripren- desse il motivo ben noto e comprensibile a tutti della Donna-Intelligenza che in Dante si chiama Donna-Sapienza ? E quando troviamo tutte quelle donne sapienti e la Beatrice che sta alla fontana d'insegnamento, dobbiamo credere di avere davanti questa o quella femmina o non piuttosto sempre e soltanto l’amorosa Madonna Intelligenza ?

2. LA MISTICA « SAPIENZA » PENSATA COME DONNA NEL NEOPLATONISMO E NELLO GNOSTICISMO. Abbiamo visto come già nella rigida linea filosofica l’Intelligenza attiva sia stata assai prima di Dante e intorno a Dante pensata come donna, sia stato pensato come amore il congiungimento dell'intelletto possibile con tale Intelligenza attiva e come la poesia del « dolce stil novo » porti indubitabili segni del fatto che l’amore che essa cantava era, almeno qualche volta, proprio questa specie di amore intellettuale.

(1) Vedi la canzone Donna mi prega, CAVALCANTI: Ed. cit., pag. 123.

86 CAPITOLO QUARTO

Ma fuori della corrente più rigidamente filosofica, nel campo mistico- religioso, la dottrina della Intelligenza pura e della Sapienza santa aveva avuto già larghissimo sviluppo e anche in questo campo essa si era già da secoli e secoli impersonata in una donna. Tra gli ebrei ellenizzanti fortemente influenzati da Platone e dai platonici, si era naturalmente diffusa la conce- zione di una divina Sapienza legame tra Dio e l'uomo, essere separato, come tutte le idee di Platone, sostanza pura e santissima, divino pensiero attraverso il quale Dio aveva creato tutte le cose e per un raggio del quale soltanto si poteva giungere a Dio. e

Conosciamo questa divina Sapienza in tutte le sue diverse manifesta- zioni. Nella tradizione neoplatonica essa divenne il Logos, ipostasi del divino pensiero che si preparava a divenire nel pensiero cristiano la seconda Persona della Trinità, dopo che il quarto Vangelo lo aveva identificato col Cristo, affermando che nel Cristo il Logos si era fatto carne.

Nella confusa e diffusa e multiforme tradizione gnostica essa riapparve talora col nome di Ewxnoia e col nome di Sofia. Con l'uno e con l’altro nome essa prendeva la figura di una donna e diveniva eroina di dramma- tiche vicende.

Ennota era, secondo la dottrina che Ireneo (I) attribuisce a Simon Mago, una specie di Prima mens che conosceva i disegni del Padre e generò gli angeli e gli arcangeli, che alla lor volta crearono il mondo, e che fu imprigio- nata da questi e tormentata. Essa si era incarnata attraverso i secoli in molti corpi donna, tra i quali in Elena greca, e ora era chiusa nel corpo di una povera femmina che Simon Mago aveva comperata a Tiro e che sempre conduceva con sè.

Sofia apparisce come persona o Eone in molte forme dello gnosticismo, ma particolarmente importante è quel Canto nuziale di Sofia nel quale Bardesane, lo gnostico valentiniano vissuto tra il secondo e il terzo secolo, esaltava con calde parole e con minuti particolari questa divina Sofia in forma di donna e di sposa.

La mia sposa è una figlia della luce, essa ha la magnificenza dei re.

Altero e affascinante è il suo aspetto: gentile e di pura bellezza adorno;

le sue vesti somigliano a bocciuoli

il cui profumo è fragrante e grato

Essa pone veracità nella sua testa

e mulina la gioia ne’ suoi piedi.

La sua bocca è aperta : e ciò ben le si conviene chè puri canti di lode con essa ella parla.

I dodici apostoli del figlio

e settantadue inneggiano in lei.

(1) Adversus haereses I, 23.

LA « DONNA-SAPIENZA » PRIMA DEL « DOLCE STIL NOVO » 87

La sua lingua è la cortina della porta che il sacerdote solleva ed entra.

La sua stanza nuziale è luminosa.

e del profumo della liberazione ripiena. Incenso è posto nel suo mezzo (consistente in) Amore e Fede

e Speranza e fa tutto odorante. Dentro è la Verità in essa sparsa

le sue porte sono adorne di veracità. I suoi paraninfi la circondano,

tutti quelli che essa ha invitato;

e le sue vergini compagne (con loro) cantano innanzi a lei la lode (I).

E così continua con altre immagini del genere concludendo che i viventi stanno a guardare se il suo sposo venga per entrare nel gaudio eterno, perchè essi «han bevuto dell’acqua vivente che non li fa languire ed aver sete » e conclude : « Rendete grazie allo spirito per la sua Sapienza ».

Il mito di Sofia (la Sapienza personificata) era, come è noto, il centro della cosmogonia nella dottrina dei Valentiniani. Essa era una specie di anima del mondo, mediatrice tra la parte superiore e la parte inferiore di esso e (pro- prio come la Intelligenza attiva) proiettava nel cosmo i tipî e le idee del Pleroma (2). Secondo Ippolito essa aveva commesso la colpa di voler imitare il Padre nel suo creare e da questa sua colpa era derivata la creazione del mondo imperfetta. Cristo fu creato appunto per redimerla e con la redenzione di lei sanare questo infelice mondo da lei prodotto.

Nella Pistis Sofia essa apparisce come il tredicesimo Fone che, per or- dine del Primo Mistero, fissò lo sguardo nell’altezza e desiderò oltre le sue forze, di ascendere, onde la sua caduta, la sua sofferenza, il suo pentimento, la sua nostalgia della luce già veduta, che dura in essa in questo esilio, la sua purificazione, la sua redenzione trionfale, che finisce col fatto che essa schiaccia ai suoi piedi il basilisco dalle sette teste (3).

Non ricordo queste cose nell’intento di perseguire tutte le varie mani- festazioni che la Sapienza personificata in donna ebbe nello gnosticismo per approfondire ora quali rapporti poterono legare gli avanzi del movimento gnostico al movimento dei « Fedeli d’amore ». Io mi limito a constatare che la personificazione della Sapienza santa in donna era cosa comunissima în tutti gli ambienti mistici e di derivazione più 0 meno direttamente neo-platonica, sia nell’Oriente che nell’Occidente.

(1) Vedi BUONAIUTI: Lo gnosticismo. Roma, 1907, pag. 187 e seg.

(2) Il Pleroma era l’insieme degli Foni, cioè degli enti supremi, che erano ipostasi delle supreme idee.

(3) MEAD: Frammenti di una fede dimenticata, Milano 1909, pagg. 344-48.

58 CAPITOLO QUARTO

3. LA MISTICA « SAPIENZA » PERSONIFICATA IN DONNA NELLA BIBBIA. —- Del resto già prima che la divina Sapienza prendesse i nomi di Ennota o di Sofia e prendesse figura di donna nei complicati pensieri degli gnostici, la Sa- pienza ipostasizzata, platonicamente concepita come Ente, non aveva preso chiaramente figura di donna e non aveva suscitato commoventi canti amore in libri che hanno trovato posto tra i libri canonici : i libri attribuiti a Salo- mone e specialmente la Sapienza e il Cantico dei Cantici ?

Soltanto la incredibile superficialità della critica «positiva » può far credere ancora a qualcuno che Dante Alighieri abbia un bel giorno fatto la geniale invenzione di raffigurare nella donna da lui amata, moglie di un suo concittadino, la Sapienza santa, mentre la Sapienza santa aveva figura di donna amata da secoli e secoli nella filosofia e nella religione e ne erano piene persino le carte della Bibbia !

IL,a Sapienza di Salomone, la donna amata nel Cantico der Cantici sono già descritte con molti dei tratti precisi con i quali verrà poi descritta nella Vita Nuova la Beatrice di Dante. L'autore della Sapienza dice di averla amata quando era giovinetto, di averla cercata în isposa, di essere stato innamorato del suo aspetto quando era fuer ingentosus e aveva sortito antmam bonam.

«Questa io ho amato e cercato fin dalla nia giovinezza e procurai di prendermela in isposa e divenni amatore della sua bellezza.... Lei dunque mi risolvei di prendere a convivere con me, ben sapendo come ella comunicherà imeco i miei beni e mi consolerà nelle cure e negli affanni.... E il convivere insieme con essa non ha tedio, ma consolazione e gaudio (I)... Ora io ero fanciullo ingegnoso ed ebbi in sorte un’anima buona » (2).

E come è descritta questa Sapienza ? Proprio quale una donna che cam- mina per via come camminava Beatrice : « Luminosa ed immarcescibile ell’è la Sapienza ed è facilmente veduta da quei che l’amano, ed è trovata da quei che la cercano (3). Ella previene color che la bramano, ed ella la prima ad essi si fa vedere.... Perocchè ella va attorno cercando chi è degr:io di lei e per le strade ad essi dolcemente mostra (Mostrasi piacente a chi la